Approvato al Senato l’articolo che divide i percorsi di giudici e pm, il 17 luglio arriva anche la legge post sentenza Cappato. L’esecutivo continua a considerare la magistratura il suo principale nemico, ma deve tener conto della Corte costituzionale
La giustizia continua a rimanere il vero campo minato per il governo Meloni. Abbandonato qualsiasi aplomb istituzionale, ormai anche la Cassazione è stata trascinata nello scontro tra le parti. Uno scontro che – forse – si placherà solo una volta che la riforma costituzionale della giustizia sarà stata approvata e imbullonata nella Carta con l’esito favorevole del referendum. Fino a quel momento, che i più ottimisti fissano a circa un anno da oggi, la linea del governo e di tutti i suoi principali esponenti politici – il guardasigilli Carlo Nordio in testa – è quello di un confronto muscolare con i magistrati, prendendo a pretesto ogni sentenza sgradita e ogni relazione che si azzardi a sollevare dubbi tecnici sull’operato legislativo della maggioranza. Come ai tempi di Silvio Berlusconi, gli avversari sono le «toghe rosse» e «politicizzate» decise a fare la guerra al governo legittimamente eletto, senza necessità di alcun confronto tecnico e di merito.
Intanto, però, la riforma sta correndo in Senato: ieri è stato approvato l’articolo 2 che modifica l’articolo 102 della Costituzione introducendo la separazione ordinamentale tra giudici e pubblici ministeri. I voti a palazzo Madama procedono svelti, nonostante i tentativi delle opposizioni di frenare la corsa all’approvazione di una riforma nata nelle stanze del ministero di via Arenula e immodificabile anche dalla maggioranza di centrodestra, per stessa ammissione di Nordio.
Il ministro nei giorni scorsi ha tentato di tirare in ballo il Colle per rinfocolare la polemica con la Cassazione, il cui ufficio del Massimario si sarebbe permesso «in modo irriverente verso il Quirinale» di evidenziare le possibili incostituzionalità del decreto Sicurezza già ampiamente sollevate dalla maggior parte dei giuristi. Scelta infelice, che ha prodotto uno stizzito «no comment» del Quirinale.
Chi ben conosce i gangli dell’apparato giudiziario non ha mancato di sottolineare il ciglio ripido in cui si è inerpicato il guardasigilli: Mattarella ha sempre sottolineato l’importanza della leale collaborazione tra organi dello Stato e contrapporre il Colle alla Suprema corte trascinandolo nello scontro politico è scelta impropria. Tanto più che controllo di costituzionalità esercitato dal Quirinale ha natura ben diversa – preventiva e con valenza di garanzia – rispetto a quella giurisdizionale della Consulta, cui il Massimario ha fatto riferimento.
Il fine vita
Mentre la separazione delle carriere corre, in Senato sta per arrivare un’altra riforma che rischia di creare l’ennesimo cortocircuito giuridico. La data fissata perché la legge sul fine vita si discuta in aula è il 17 luglio, dunque le commissioni Giustizia e Affari sociali dovranno procedere molto velocemente. Il testo base è stato individuato e già ha sollevato questioni controverse: l’esclusione del Sistema sanitario nazionale, che non erogherà più alcun servizio né i farmaci letali, dunque chi avrà diritto a ricorrere al suicidio assistito dovrà organizzarsi (e pagare); l'obbligo delle cure palliative e il restringimento dell'accesso solo ai malati collegati a macchinari e non quelli che dipendono dall'assistenza di terzi.
L’esclusione della sanità pubblica – che rischia di creare disparità di censo per l’accesso al diritto al fine vita – e il restringimento della platea di chi può chiedere l’accesso al fine vita potrebbero già essere considerati due profili di incostituzionalità. Tanto più che – nell’inerzia del legislatore – la Corte costituzionale aveva fissato con la sentenza Cappato del 2019 i parametri costituzionalmente orientati che prevedevano sia la gratuità attraverso il Ssn che le tipologie di malati che possono fare richiesta.
La critica è arrivata dall’Associazione Luca Coscioni, secondo cui il testo «di fatto cancella il diritto all'aiuto medico alla morte volontaria, restringendo drasticamente i criteri di accesso in violazione della Costituzione e delle sentenze della Corte», ha detto la segretaria Filomena Gallo, con impianto che «mira a cancellare diritti riconosciuti dall'ordinamento e ribaditi dalla Consulta».
Proprio questo campo così delicato rischia di incardinarsi quindi l’ennesimo scontro a sfondo giuridico. A differenza di quanto accaduto con la riforma costituzionale della giustizia, la maggioranza ha detto di essere pronta ad un confronto anche emendativo, per trovare un punto di caduta con almeno una parte delle opposizioni. Complicato, considerando che il lavoro delle commissioni dovrà procedere molto velocemente per rispettare la data già fissata per l’arrivo in aula.
Non solo. Nel mentre che la discussione parlamentare sarà in corso, la Consulta sarà chiamata a discutere un nuovo caso di fine vita, nell’udienza fissata per l’8 luglio in cui per la prima volta potrebbe esprimersi sul tema dell’eutanasia. Come ha già fatto in passato, i giudici costituzionali potrebbero orientarsi per dare tempo al legislatore. Tuttavia la pietra miliare sul tema che è stata la sentenza Cappato è un parametro che il testo di maggioranza non potrà ignorare.
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