Un tempo era l’acqua pubblica a dividere la politica. Oggi è la poca acqua in generale a diventare un oggetto della contesa tra piani istituzionali, enti locali contro governo centrale. Ma è anche un tema di polemica tra partiti politici, con Matteo Renzi che giudica il Movimento 5 stelle, per certi versi, responsabile della situazione. Lo ha fatto in maniera, nemmeno tanto indiretta, quando ha detto che “Casa Italia” e “Italia sicura”, due progetti avviati nei suoi anni al governo, «sono stati eliminati a inizio legislatura e che avrebbero consentito di recuperare una parte delle emergenze idriche».

Mentre i malumori infuriano, a più livelli, le regioni e i comuni stanno per vedere recepita la loro richiesta: la dichiarazione dello stato di emergenza nazionale a causa della siccità che sta assetando l’Italia, con Piemonte ed Emilia Romagna capofila.

Un modo per avere l’ombrello, anche mediatico, del governo di fronte alle decisioni impopolari da assumere da qui alle prossime settimane, come il razionamento idrico. La richiesta è stata avanzata nei giorni scorsi e in una riunione tecnica che si è tenuta mercoledì sera tra il ministro dell’Agricoltura, il ministero della Transizione ecologica e la protezione civile. 

Intanto, alcuni sindaci hanno deciso di chiudere le fontane cittadine, vietano il lavaggio delle auto e di innaffiare orti e giardini, tagliano l’erogazione dell’acqua potabile dalle 23 alle sei del mattino.

Il decreto

Il fiume Po ai minimi a Boretto in provincia di Reggio Emilia / Foto LaPresse

Da un punto di vista tecnico, si procederà a indicare i parametri per cui le varie regioni rientreranno nella categoria dello stato di emergenza, da introdurre con un decreto legge. A palazzo Chigi ci saranno ore di confronto per stabilire questi requisiti, perché la dichiarazione non significherà che ogni territorio è in stato di emergenza. L’esecutivo non è intenzionato ad assumere decisioni omogenee su tutto il territorio nazionale.

Ma il punto della vicenda è che la pressione degli enti locali sull’esecutivo di Mario Draghi ha una base più politica che tecnica: le decisioni impopolari possono essere giustificate dai sindaci. Insomma, il bollino dello stato di emergenza, apposto dal governo, rende più giustificabili le scelte di un sindaco agli occhi dei cittadini.

Rubinetti chiusi

Foto AGF

Il tema che desta maggiore preoccupazione è quello legato al razionamento dell’acqua. Una questione impattante sulla qualità della vita, oltre che con una ricaduta inevitabile anche per le attività produttive. A cominciare dall’agricoltura.

Il punto è che già oggi nessun primo cittadino dovrebbe chiedere il permesso al governo per attuare misure del genere, anche molto drastiche. Basta una semplice ordinanza comunale per stabilire l’interruzione del servizio notturno, come è successo nelle ultime ore.

La valutazione spetta agli amministratori che conoscono da vicino la situazione e quindi le eventuali azioni da mettere in campo per fronteggiare la siccità. Lo stato di emergenza è uno strumento utile per tamponare le falle nell’immediato, come il sostegno economico agli enti. Ad esempio, i costi delle autobotti, nelle aree in cui ce ne sarà bisogno nelle prossime settimane, potranno essere coperti dal governo, grazie alla dichiarazione dell’emergenza.

Così come le pesanti perdite del settore agricolo saranno ristorate grazie all’attivazione del provvedimento. Si tratta, in sintesi, di una cornice entro cui inserire delle valutazioni specifiche sul piano territoriale e individuare interventi specifici. Non è che il razionamento dell’acqua a Cagliari risolva il problema della siccità a Cuneo.

Il provvedimento di alazzo Chigi, d’intesa con il Dipartimento della Protezione civile, è comunque atteso per la prossima settimana al termine della fase istruttoria, iniziata da qualche giorno, necessaria a compiere una serie di valutazioni. Si tratta di passaggio obbligato per comprendere le diverse esigenze territoriali.

Nel caso specifico non ci sono dubbi sull’esistenza del problema, come ha ammesso il capo del Dipartimento della Protezione civile, Fabrizio Curcio, parlando di «tendenze non sono positive» ed evidenziando che «nelle prossime settimane non ci sarà una inversione di tendenza».

La situazione è drammatica

Emergenza siccità a Roma, il fiume Tevere / Foto AGF

Il quadro è chiaro. Il fiume Po è insidiato dal cosiddetto cuneo salino, l’acqua del mare che risale dalla foce rendendo appunto il corso d’acqua salato perché la portata è troppo ridotta e non riesce a contrastare l’arrivo dal mare.

Secondo l’associazione nazionale bonifiche irrigazioni (Anbi) la portata si è dimezzata in due settimane ed è scesa a poco più di 170 metri cubi al secondo. La soglia critica per la risalita del cuneo salino è fissata a metri cubi al secondo 450.

Il bollettino è drammatico ovunque. Il fiume Adige, in Veneto, ha ha un livello idrometrico inferiore di due metri e mezzo rispetto all’anno passato «e di circa 20 centimetri rispetto all’annus horribilis 2017», riporta ancora l’Anbi, non va meglio il Tevere ai minimi storico.

E, al netto dello stato di emergenza, c’è uno sforzo ancora più imponente all’orizzonte: l’intervento strutturale sulla rete idrica, che non attiene ad alcun principio emergenziale.

Richiede un impegno costante a cominciare dalle risorse previste dal Pnrr, che prevede la realizzazione di almeno 25mila km di nuove reti per la distribuzione dell'acqua potabile e la riduzione degli sprechi. Un capitolo su cui sono stati messi già 900 milioni di euro con lo scopo di ridurre la media del 42 per cento di dispersione dell’acqua nelle condutture.

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