Non conosce Virginia Raggi, non le è antipatica anche se come sindaca la considera pessima, ma quanto alla sua assoluzione è «davvero felice. E politicamente lo sono ancora di più perché questo determinerà la sua ricandidatura e quindi la vittoria del centrodestra alle prossime elezioni comunali a Roma». Il leghista Roberto Calderoli si toglie il gusto di dire una verità amara per gli avversari: «Dopo la (seconda) assoluzione di Virginia Raggi il centrosinistra romano sta come prima, ma un po’ peggio di prima».

Dal Pd le dichiarazioni di garantismo verso l’assolta vengono profuse a generose manciate. «Dalla sindaca mi dividono molte cose: visioni politiche e temi amministrativi. Ma è addirittura ovvio dire che il confronto o la battaglia politica nulla deve avere a che fare con le vicende giudiziarie», commenta il segretario Nicola Zingaretti. Chiuso il processo, «per noi non cambia nulla», giura il segretario romano Andrea Casu, «il malgoverno della sindaca è sotto gli occhi del mondo e a pagarlo sono tutti i romani. Noi continuiamo a lavorare per la riscossa politica e civica della capitale nel 2021».

Alla riscossa, ma come? Il tavolo della coalizione della sinistra cittadina non è tutto rose e fiori. Alla vigilia della sentenza Raggi, Azione di Carlo Calenda se n’è andata. Perché nel confronto con i promessi alleati è di nuovo uscito il ragionamento, da parte esponenti di Leu e Pd, che una condanna avrebbe favorito il ritiro della sindaca dalla corsa per il Campidoglio e così spianato la strada a un accordo con M5s. Calenda prosegue in solitaria: «Io vado avanti lo stesso. Alle elezioni comunali c'è un secondo turno, quindi non devi stare insieme per forza se vuoi vincere. Ma il punto è se il Pd vuole fare una cosa tutti insieme o se vuole andare con i Cinque stelle». Che è un’altra foto fedele del bivio in cui da mesi il Pd è fermo. Incapace di esprimere un candidato o una candidata, renitente all’intesa con l’ex ministro. Ancora una volta i dem si ritrovano a mani vuote: dopo aver puntato su David Sassoli, poi su Paolo Gentiloni, poi su Roberto Gualtieri, poi aver aperto un tavolo per tenere Calenda in coalizione, infine aver fatto circolare l’idea di un accordo con M5s. Tutte ipotesi destinate al naufragio, compresa l’ultima: condannata o no, la sindaca si disponeva alla resistenza fuori e dentro il partito, forte dell’alto patrocinio di Beppe Grillo. C’è però chi ci prova ancora: «Il piano A è cercare un accordo con le forze con cui siamo al governo nazionale,cioè M5s», dice Piero Latino di Art.1, «il piano B è cercare un candidato che almeno al ballottaggio possa prendere i voti di M5s». Tradotto: non è Calenda.

Ora dunque il centrosinistra è punto e a capo. L’ex ministro è in fuga solitaria, una candidatura autonoma azzopperebbe senza rimedio il candidato di sinistra. Iv chiede al Pd di appoggiarlo senza condizioni. C’è chi racconta che in realtà Calenda mediterebbe il ritiro per ridedicarsi al suo partito, fin qui mai decollato. «Siamo contenti per Virginia Raggi anche perché solo degli sciacalli potevano pensare di utilizzare le aule di tribunale per archiviare il peggior governo di Roma degli ultimi decenni», spiega Amedeo Ciaccheri, portavoce di Liberare Roma e cioè dell’ala sinistra della coalizione, «urge che le forze politiche escano dal torpore e indichino il perimetro dell’alleanza democratica e progressista e la data delle primarie». Dal Pd romano si dice febbraio. Si dice, ma senza crederci davvero: perché si spera ancora in un uomo della provvidenza e perché in parlamento tira aria di rinvio delle amministrative causa pandemia. Il centrodestra non ha ancora un candidato. Ma che fretta c’è: può serenamente prendere i popcorn e godersi lo spettacolo della sinistra che proprio non riesce a unirsi. Con un campo avversario così combinato, la corsa per il Campidoglio, per chiunque dei loro, sarebbe tutta discesa.

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