Idati e le riflessioni che presentiamo qui provengono dalla più grande ricerca mai fatta sul tema in Italia: un lavoro durato tre anni, che ha coinvolto decine di ricercatori in sei atenei e in diverse aree del paese, che ci ha permesso di raccogliere più di quattrocento interviste in profondità e di sottoporre un lungo questionario a un campione rappresentativo della popolazione italiana maggiorenne.


Le relazioni sociali non si interrompono quando la vita finisce. Gli italiani comunicano intensamente con i propri morti.

La prima forma di comunicazione è rappresentata dai sogni. Sognare una persona che non c’è più è l’attività che mette in relazione con i defunti maggiormente dichiarata dalle persone che hanno partecipato alla nostra indagine campionaria. Il 75 per cento degli italiani, infatti, ha sognato almeno una volta una persona cara che non c’è più.

Un defunto apparso in sogno è assai spesso citato anche dai membri delle famiglie intervistate. Nella maggior parte dei casi i sogni ricalcano situazioni di vita quotidiana vissute in precedenza con il defunto. In molti casi i defunti appaiono in sogno per rassicurare i vivi in merito al fatto che loro stanno bene; per confermare che non soffrono più, come reso evidente dal fatto che sorridono e hanno un volto sereno. A volte le rassicurazioni riguardano il futuro del sognatore (si tratta dei cosiddetti sogni premonitori).

Superstizione

In altri casi, i defunti diventano, per i nostri intervistati, annunciatori di sciagure o di buone novelle, come nel caso di Valeria, casalinga cinquantenne, cattolica, residente in un piccolo comune lombardo, a cui la mamma è apparsa in sogno annunciandole il sesso del nascituro che portava in grembo: «In bergamasco mi ha detto l’è amò el bragù, nel senso è ancora uno che porta i pantaloni. È ancora un maschio, voleva dire. E mi ha dato il nome da dare a quel maschio, dicendomi che gli regalava lei la catenina».

Non sempre però i defunti compaiono nei sogni con un aspetto chiaramente riconoscibile. Talvolta sono arrabbiati e colmi d’ira.

Il fatto di sognare i propri cari che non ci sono più non sembra poter essere messo in relazione con l’appartenenza religiosa: dalle interviste, infatti, emerge che   ci sono persone che si dichiarano atee o agnostiche che riferiscono di aver sognato i propri morti. La percentuale di non credenti che sognano i morti è pari al 58 per cento. Inoltre, sogna i propri defunti anche il 66 per cento di chi crede che dopo la morte si cessi di esistere.

Va inoltre sottolineato che non pochi sono gli italiani che interpretano i sogni più come espressione di un proprio desiderio di sentire e vedere ancora le persone che non ci sono  più che come la manifestazione di una volontà del defunto di mantenere un contatto con loro. Altri invece sono indecisi se credere a tali manifestazioni come espressione del defunto o della propria necessità inconscia di incontrarlo anche dopo la morte.

Protezione

Anche il percepire la protezione dei propri cari è un modo per sentirsi in relazione con il morto. Infatti, il 43 per cento dei rispondenti all’indagine campionaria ha sostenuto di aver sentito, in qualche momento della propria vita, che un proprio defunto li stava proteggendo. Ha avvertito questa sensazione il 56 per cento dei credenti praticanti, il 19 per cento dei non credenti, il 58 per cento di chi crede che le persone continuino ad esistere dopo la morte e il 25 per cento di chi pensa che dopo la morte non esista nulla.

Questo aspetto, come quello precedente, emerge anche nelle interviste in profondità. L’intervento protettivo del morto è avvertito in genere in relazione a qualche evento specifico: ad esempio, per il buon esito di un intervento medico o per evitare le conseguenze peggiori di un incidente automobilistico. A volte il defunto che salva è, o si sovrappone a, la figura tradizionale dell’angelo custode.

Un’ulteriore modalità di relazione con il defunto consiste nel percepire la presenza di chi non c’è più. È un’esperienza che riguarda il 34 per cento degli italiani.

Tale percezione è avvertita maggiormente da chi crede che le persone continuino ad esistere anche dopo la morte e tra i credenti anche se pure un quinto di chi non crede, e pensa che dopo la morte le persone cessino semplicemente di esistere, ha provato questa sensazione.

Il fatto di credere nell’aldilà, e in un Dio che accoglie i defunti e permette loro di proteggerci, potrebbe anche spiegare il fatto che molti italiani ritengano che i loro cari si presentino al loro cospetto sotto una forma immateriale, di puro spirito.

Reincarnazione

Risulta tuttavia interessante notare - ed è certamente un dato paradossale - come siano coloro che credono nella reincarnazione a percepire, più degli altri, la presenza di chi non c’è più sotto forma di spirito. Anche dalle interviste si evince quanto questo fenomeno sia diffuso.

I vivi possono immaginare che il defunto si presenti loro in varie situazioni. Per alcuni intervistati è una presenza costante. Per altri invece il morto irrompe solo episodicamente nelle loro vite e non sempre in forme rassicuranti o prive di ambiguità. Spesso la comparsa del defunto produce, accanto alla felicità di rivederlo, sentimenti di paura, sgomento e ansia.

Altrettanto spesso la presenza viene percepita solo nei periodi immediatamente successivi alla morte, come riferiscono quelle credenze popolari secondo cui l’anima del defunto vaga fino a quando non riesce a trovare pace e a sistemarsi.

Se la percezione della presenza è qualcosa di totalmente immateriale, una mera sensazione appunto, vi sono situazioni che invece si avvicinano maggiormente alla tangibilità e alla fisicità, come vedere il defunto (22 per cento degli italiani), sentirsi toccare (9 per cento) e anche sentirsi chiamare (come testimoniano alcune interviste). Anche in questo caso sono soprattutto le persone più anziane a fare questo tipo di esperienze.

Parlare con i morti

Il 31 per cento degli italiani afferma poi di parlare con i morti. Leggendo le interviste si ha la sensazione che si tratti di una pratica diffusa tra persone di tutte le fasce di età e di ogni orientamento religioso o di credenza su quel che avviene dopo la morte.

Le motivazioni per le quali si cerca un contatto con un proprio caro scomparso sono molteplici: si può farlo per chiedere un favore, un aiuto o anche solo per ricevere un conforto in momenti di difficoltà.

Talvolta il morto è evocato nei dialoghi interiori come interlocutore su qualche decisione   particolarmente delicata.

La scelta di chiedere un aiuto ai defunti e non a Dio è data dal fatto che questi (ancora più dei santi) vengono percepiti come più prossimi, più facilmente avvicinabili. Alcuni dei nostri intervistati sembrano perfettamente consapevoli che quello con il defunto è un dialogo più che altro interiore.

In alcuni casi, nelle conversazioni con il morto affiorano risentimenti, rabbie e recriminazioni. La morte è vissuta come abbandono e il defunto pensato come un fuggitivo, come qualcuno che si è sottratto alle sue responsabilità, che ha abbandonato troppo presto la nave della vita.

Il 99 per cento degli italiani dichiara di non essersi mai rivolto a persone che pretendono di essere in grado di entrare in contatto con i defunti (medium, cartomanti o altre figure attive nella sfera del paranormale).

I medium

Solo l’uno per cento degli italiani affermano di aver tentato il contatto con i propri cari che non ci sono più avvalendosi di figure specifiche: medium, cartomanti, sacerdoti ed altre figure non precisate.

È possibile che le risposte a questa domanda non siano state del tutto sincere. Il ricorso ai medium e ai sensitivi è infatti percepito, nella cultura diffusa, come un comportamento inappropriato, vuoi perché rivela una mentalità superstiziosa e irrazionale, vuoi perché rappresenta una grave violazione dei precetti religiosi che proibiscono tassativamente questo genere di pratiche.

Le interviste in profondità sembrano però confermare questo dato. Le persone che ammettono di aver fatto ricorso a medium e sensitivi sono poche.

Da molti italiani i medium sono visti come ciarlatani, persone che speculano sulle fragilità emotive della gente, sul bisogno dei dolenti di sentirsi ancora per una volta in contatto con i propri cari defunti. Ma non rivolgersi ai medium non implica necessariamente dubitare di loro.

Semplicemente, anche tra coloro che credono che un contatto con l’adilà sia possibile ci si chiede se tale contatto sia auspicabile.

Così Sonia, ristoratrice trentenne, cattolica, residente in una grande città piemontese preferisce evitare di aprire una porta che dovrebbe restare chiusa: «Credo che se una persona se ne va è giusto che debba vivere - vivere tra virgolette intendo - l’altra vita in pace, senza essere disturbata».


I temi di questo articolo sono al centro del volume a cura di Asher Colomo Morire all'italiana. Pratiche, riti, credenze, appena pubblicato dal Mulino

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