Sono io quello del “gender” a scuola. Non parliamo di sesso, ma di potere

Avete presente quelle figure fantomatiche che, secondo certa propaganda che non ha mai comprovato nessuna delle sue dichiarazioni, vanno nelle scuole a manipolare la psiche di bambini e bambine facendo in modo che, addirittura, cambino orientamento sessuale? E sempre e solo da etero a qualcos’altro? Ecco, io sarei una di quelle persone. Da più di dieci anni, diverse volte l’anno, io vado nelle scuole di tutta Italia – scuole superiori di primo e di secondo grado – a parlare di genere. Parlare a scuola di genere significa parlare di problemi che sono già presenti nella loro vita: perché a una ragazza dicono di non fare cose che fanno i ragazzi? Perché un ragazzo dovrebbe vergognarsi se non è attratto dalle ragazze? Perché se sono un ragazzo pare che non possa comprarmi una felpa rosa, anzi non la trovo neanche della mia taglia? Perché se sono una ragazza mi dicono di non comprare oggetti che non sono rosa? Da quando certi supereroi sono da maschio e altri da femmina? Perché non ci sono associazioni sportive che mi accettano? Chi deve pagare quando usciamo insieme? Educazione sessuo-affettiva: l’appello di Gino Cecchettin arriva in aula, la maggioranza lo ignora Queste sono le domande che più spesso mi arrivano, e alle quali rispondo. Perché non vado a “indottrinare” nessuno o nessuna, come invece dice quella propaganda, ma vado a rispondere a delle domande con risposte più sensate di “perché sì” o “perché no” o “perché si fa così”. Altre volte facciamo dei giochi con le parole, per scoprirne il potere di far stare bene o far stare male le persone. Oppure ancora parliamo di scene che si vedono nelle serie, nei film, in rete; della moda, della musica, degli sport. Parliamo del loro mondo nel quale il potere del genere si è già mostrato con il suo lato peggiore: divieti insensati, abusi permessi, prepotenze tollerate, desideri repressi. Perché parlare di genere non è parlare di sesso o di orientamento; parlare di genere è parlare di potere. Forse è per questo che tanta politica è contraria a parlare di genere nelle scuole. Educazione sessuo-affettiva, Valditara attacca le opposizioni: «Sfruttate i femminicidi. Vergogna». Scontro in aula Parlarne ai più piccoli Con i più piccoli e le più piccole che incontro faccio soprattutto giochi con il linguaggio, che servono a stimolare domande profonde o a far accorgere quanto nella loro esperienza quotidiana si nascondono pregiudizi e stereotipi legati al genere. Uno dei più popolari giochi ci vede ragionare insieme sulle parolacce, sugli insulti (li conoscono già tutti, non facciamoci illusioni): quel genere di parole molto potente, che fa girare le teste, che scuote le persone, che desta l’attenzione. Ci chiediamo insieme: perché il femminile di tanti animali domestici è anche un insulto? Proviamo a dire il femminile di questi animali: cane, toro, topo, maiale, gallo, oca (attenzione!)... come mai significano “anche” un’altra cosa poco piacevole per una ragazza? E così parliamo facilmente di come si tramandano le differenze di potere nella nostra lingua, con abitudini apparentemente innocue. «Eh ma sono parolacce che posso dire pure a un ragazzo!» – è vero, ma non hanno esattamente lo stesso valore sociale. Ecco a proposito: cos’è un valore sociale? Perché certe caratteristiche dei nostri corpi hanno più o meno valore agli occhi delle altre persone, che pensano di poterle giudicare liberamente? Decostruire il maschile: due uomini raccontano come si impara a non far paura Facilmente un argomento tira l’atro, e questo mi dà l’occasione non di dare loro istruzioni o “dottrine” di un qualche tipo, ma strumenti: attenzioni da porre alle parole, ai gesti, ai messaggi sui media e i social, sia in senso attivo che passivo, per essere sensibili ai poteri molesti che stanno agendo nella loro vita. Educazione sessuo-affettiva, la “fuffa” di Valditara: giocare con le parole non modifica la sostanza Così è semplice arrivare a parlare degli sport che fanno o che vorrebbero fare; del perché non è facile vederli in televisione, specie se sono fatti da ragazze; del come dire in famiglia che non è giusto che certe cose siano permesse al fratello e non alla sorella, e che una certa dolcezza e cura servono anche al fratello e non solo alla sorella. Parlarne ai più grandi In una scuola superiore di secondo grado – che sia un “tecnico” o un liceo non ha mai fatto la differenza – si possono affrontare argomenti più forti che sono entrati nelle loro vite, sempre partendo da esempi che succedono a loro e non da qualche assunto a priori che porterei io. Per esempio parliamo del perché in alcuni locali, in certi giorni della settimana, le ragazze non pagano l’ingresso: è giusto? Perché succede? Chi ci guadagna davvero, chi sta manipolando chi? E chi dovrebbe protestare per questa palese discriminazione, e perché? Oppure: ha senso parlare di “decoro” dell’abbigliamento scolastico? Da dove viene questo concetto, che criterio si usa per formularlo? Perché agisce molto diversamente sui corpi maschili e su quelli femminili? Non è una discriminazione di genere anche questa? Judith Butler: «L’ideologia gender non esiste, è un’invenzione della destra» Ovviamente si finisce sempre col parlare di relazioni. E si parla di cos’è una molestia, della differenza tra consenso e permesso; si parla non di censurare l’espressione dei propri desideri, ma di come comunicarli senza essere prepotenti, invadenti, abusanti. E arriviamo facilmente al bullismo, maschile e femminile, e a parlarne come fenomeno che interessa non solo chi lo agisce ma tutto il gruppo sociale che rappresenta. Smascherare il potere del genere Questi sono esempi di quello che faccio nelle scuole, da più di dieci anni, e come me lo fanno tanti e tante colleghe preparati e formate nelle questioni di genere. Perché questi non sono solo argomenti di educazione, civiltà, rispetto – e via via tanti altri falsi sinonimi: sono argomenti di genere perché sono forme di potere che agiamo e subiamo a seconda del nostro genere, e se non sono correttamente identificate in questo modo, non funzionerà nessun tipo di “rispetto”. Perché contro le forme di potere oppressive e moleste non serve il rispetto delle regole o delle persone, serve la cura delle relazioni. E da quando nasciamo, com’è naturale, le relazioni si costruiscono secondo valori di genere che vanno ridiscussi, criticati, analizzati, resi agibili da tutte le persone – altrimenti faranno sicuramente male a qualcuno o a qualcuna. Cosa serve, davvero Queste competenze i ragazzi e le ragazze le cercano, e anche tanti e tante docenti le richiedono, perché non sono solo una disciplina da studiare e da applicare, ma una visione da avere in tutte le discipline e le situazioni scolastiche. Anche per questo, come parte del comitato scientifico della Fondazione Giulia Cecchettin, ho partecipato alla costruzione di una formazione rivolta a chi insegna, che partirà nel 2026. Sempre per questo motivo continuo a essere presente sui social, là dove molti ragazzi e ragazze meno capaci di prendere parola e di esporsi pubblicamente mi fanno domande, chiedono fonti, espongono problemi. Educare all’amore, al sesso e al porno. Ma chi è pronto a formare gli educatori? Avere una legge su questi argomenti permetterebbe di rendere questi interventi meno occasionali, meno lasciati alle iniziative singole di docenti e scuole sparsi per l’Italia. Sono cose che nelle scuole italiane si fanno da decenni, ma, come si dice, “a macchie di leopardo”: qui e là, per qualche anno poi basta, appoggiandosi a strutture esterne alla scuola molto diverse che a loro volta non possono quasi mai garantire continuità e sostenibilità. Io sono quello del gender, e come tanti e tante altre persone preparate come me, continuerò a esserlo finché giovani ragazzi e ragazze, padri madri e docenti continueranno a farci domande e a raccontarci i loro disagi.