Tra abbandoni di attivisti e incertezze sul futuro, a inizio gennaio è arrivata la decisione: sofferta, ma condivisa. Il gruppo dirigente degli Invisibili, il movimento legato ad Aboubakar Soumahoro, si è dimesso in blocco.

Niente di burocratico, solo una decisione informale legata a una chat. Ma per la quindicina di attivisti che sinora hanno lavorato come una sorta di “segreteria nazionale” il problema era chiaro: impossibile continuare in queste condizioni. Dopo la disgregazione dei gruppi locali cominciata prima delle elezioni, la bufera politica che ha travolto Soumahoro – alcuni suoi familiari sono indagati in un’inchiesta sulla gestione di coop per migranti – è stata la mazzata finale. Già dal calendario delle attività emergevano indizi che qualcosa non funzionasse.

Dalla scorsa estate ogni attività era rarefatta; l’ultimo appuntamento degli Invisibili risale a novembre, a Milano, sullo sfruttamento degli specializzandi in medicina. Poi il nulla: niente a dicembre, niente a gennaio. E niente in programma. Gli account social sono fermi da dicembre, quando è stato pubblicizzato l’aperitivo con il gruppo di “Invisibili” nato a Parigi. Sul sito web “Invisibili in Movimento.it” le news si interrompono a giugno. Dagli indirizzi mail della decina di gruppi locali, unico contatto presente sul sito, non risponde nessuno.

Con questa situazione viene quindi da chiedersi: gli Invisibili esistono ancora? All’interno del movimento stesso non c’è unità di vedute: «C’è ancora grande entusiasmo e partecipazione», assicura Mosè Vernetti, 24 anni, attivista degli Invisibili a Torino, ora nello staff del deputato Soumahoro eletto con l’Alleanza verdi-sinistra e poi passato al gruppo misto.

Dà un’altra lettura chi ha visto sfiorire il progetto mese dopo mese, e ne parla al passato. «Creare una rete nazionale dal nulla era davvero un’impresa utopistica», rispondono da Roma a Genova. «Si è fermato tutto con la candidatura di Aboubakar, purtroppo».

La nascita degli Invisibili

Nonostante l’indagine giudiziaria non veda coinvolto il deputato Soumahoro, l’entusiasmo intorno alla sua figura sembra appannato anche tra chi ne ha costituto la base: persone che a partire dalla manifestazione “stati popolari” da lui convocata a Roma nel 2020 volevano portare al centro del dibattito «i temi delle disuguaglianze, del precariato, dell’esclusione sociale, delle periferie e della transizione eco-solidale», come ha più volte rimarcato Soumahoro in giro per l’Italia.

Il progetto “Invisibili in movimento”, lanciato dal sindacalista durante una manifestazione a Napoli nel gennaio del 2021, aveva dato speranze a giovani accomunati dalla passione per la politica e dalla voglia di lottare per chi vive nell’invisibilità: «Diseredati di tutte le estrazioni sociali», «scartati», «coloro che sono rimasti schiacciati dalle disuguaglianze e dalla globalizzazione orientata al vantaggio dei pochi».

Per almeno un anno, grazie all’ascesa di Soumahoro come portavoce del movimento, c’è stato molto interesse intorno agli Invisibili. Tra il 2021 e il 2022 sono nati gruppi territoriali in tutta Italia e anche all’estero: Bari, Bergamo, Bologna, Bruxelles, Firenze, Genova, Londra, Messina, Milano, Napoli, Roma, Torino. Gli eventi nelle città si sono moltiplicati, a partire dalle “agorà popolari” che hanno radunato associazioni e attivisti di altri movimenti.

Non solo: a Genova si sono raccolti vestiti da portare ai migranti in viaggio sulle Alpi; a Bergamo si è parlato di carceri; a Roma di pace, ecologia, partecipazione, diritto alla casa; a Milano di senza dimora, aborto, voto dei fuori sede. Dopo la bufera che ha coinvolto la famiglia di Soumahoro tra novembre e dicembre, gli Invisibili si sono schierati in suo favore.

«Abbiamo fiducia in te e sappiamo che farai chiarezza sui fatti», hanno scritto. «Delegittimare il percorso collettivo di anni per il miglioramento socio-lavorativo delle persone, per l’autodeterminazione e per la felicità collettiva, significa calpestare la dignità di chi è sfruttato ed emarginato». Firmato: la Comunità di Invisibili in Movimento.

È però difficile rintracciare chi fa parte in modo attivo di questa comunità, ferma restando la difficoltà di creare (e mantenere) una rete nazionale composta da volontari. Se si cerca qualcuno che organizza ancora eventi a nome degli Invisibili, tutte le strade portano a Gianmarco Carrieri, impiegato di 30 anni protagonista del gruppo locale di Milano.

«La vicenda di Aboubakar ha colpito umanamente tutti, ma continuiamo le sue battaglie», racconta. «Anche perché le persone che si sono avvicinate lo hanno fatto proprio per questo. A Milano siamo un bel gruppo di persone, molto variegato: abbiamo l’impiegato, il freelance, il rider, l’amministratore d’azienda, il giovane di seconda generazione».

Di fronte all’inattività degli altri gruppi locali, Carrieri difende i suoi compagni di percorso. «Il progetto degli Invisibili deve ancora trovare una definizione. Siamo e siamo stati in piena fase embrionale, con tutti i limiti di un qualcosa di amatoriale. Molte attività erano legate a singoli gruppi o persone».

La delusione

È però molto più semplice rintracciare chi ha lasciato gli Invisibili, rispetto a chi ne fa parte attualmente. All’estero per esempio il gruppo più attivo è ritenuto quello di Bruxelles, grazie all’impegno dell’attivista Simone Marino nel costruire una rete: ma Marino non vive più in Belgio e dagli Usa fa sapere di non riuscire più a partecipare attivamente. In Italia invece molti gruppi locali non hanno più attivisti.

Come Bari, oppure Genova. «Il progetto sulla carta era molto figo», spiega senza alcuna polemica Fabrizio Aloi, ex punto di riferimento per gli Invisibili in Liguria. «La difficoltà di interagire con Aboubakar Soumahoro è stata un limite e purtroppo non si è mai riusciti a organizzare una riunione dal vivo di tutto il Movimento insieme a lui. È stato un peccato».

Tra la pandemia e le difficoltà organizzative, il momento di incontro tra attivisti per dare agli Invisibili organi rappresentativi non c’è infatti mai stato. Il dispiacere per aver trascurato una comunità costruita con fatica traspare anche dalle parole di Cecilia, ex attivista del gruppo di Roma. «Da quando c'è stata la candidatura di Aboubakar, Invisibili e quello che voleva rappresentare è stato praticamente abbandonato come progetto», racconta.

Voglia di rinascita

La situazione romana mostra alla perfezione la difficoltà che vivono gli Invisibili. A riconoscerlo è uno degli attivisti storici, Silvio Arcangeli, 46 anni, ingegnere, anche lui membro della segreteria informale dimissionaria. «A Roma siamo rimasti solo in due attivisti», spiega.

«Creare una rete nazionale forse era velleitario, senza soldi a disposizione. Ma ci abbiamo provato e siamo riusciti a riunire un sacco di belle persone». Il rammarico per quello che gli Invisibili potevano diventare esiste: perché grazie all’improvvisa elezione di Soumahoro sembrava che il movimento potesse crescere. «La scorsa estate siamo inevitabilmente diventati il suo comitato elettorale», continua Arcangeli.

«Dopo l’elezione doveva cominciare una nuova fase. E invece è arrivata la bufera». Continuare il progetto con un Soumahoro indebolito politicamente, o addirittura senza di lui, per Arcangeli rischia di essere «improponibile».

Sulla bontà del progetto sono invece fermamente convinti sia Mosè Vernetti che Gianmarco Carrieri. «L’intenzione è valorizzare con proposte in parlamento il lavoro fatto in questi anni», assicura il primo. «Vogliamo dare vita ad un organo realmente rappresentativo», aggiunge il secondo.

L’obiettivo immediato è quindi capire quali gruppi territoriali esistono ancora, per ripartire da loro: ma date per decidere se e quando dare un nuovo futuro agli Invisibili, per ora, non ce ne sono.

 

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