Avanti, senza alcun tentennamento. Perché «la strada è obbligata». Roberto Speranza si presenta alla Camera dopo la richiesta di chiarimenti delle opposizioni sull'ordinanza emanata dal ministero della Salute il 4 novembre scorso. Richiesta effettuata il giovedì, ministro in aula il giorno dopo. Tanto che sono diversi gli assenti. Tra i banchi del centrodestra sono una decina scarsa i parlamentari di Fratelli d'Italia, ancora meno quelli della Lega, una dozzina i deputati di Forza Italia. I gruppi più numerosi, comunque non al completo, sono quelli di Pd e M5S.

Speranza vuole che il messaggio arrivi chiaro a tutti: partiti, regioni e cittadini. I numeri, che «rappresentano persone in carne ed ossa», continuano ogni giorno «drammaticamente a crescere». Ecco perché il governo ha la responsabilità e il dovere di intervenire. Il filo conduttore resta quello che lega il primato della tutela della salute e il principio di massima precauzione per il sistema sanitario nazionale, per «evitare che venga travolto».

«Non possiamo stare fermi»

Il virus, scandisce il ministro della Salute «non ci dà tempo. Non aspetta la fine delle nostre discussioni. Dilaga. Non possiamo stare fermi o avere incertezze». Di più. «Senza consistenti limitazioni dei movimenti, senza un cambio drastico delle nostre abitudini e il rispetto delle regole», ammette, «la convivenza con il virus fino al vaccino è destinata ad un clamoroso fallimento».

Speranza spiega con franchezza perché il sistema rischia di cedere: «Se non fermiamo la curva il nostro personale sanitario non ce la farà a reggere l'onda d'urto. Per me il problema del personale è il problema più serio con cui fare i conti». Un ventilatore, è il ragionamento,  si può comprare. Un medico, un anestesista no. Ci vogliono anni per formarli.

La battaglia politica

Se questo è il quadro, l'appello «accorato» che Speranza rivolge al Parlamento è quasi una naturale conseguenza: «Voglio continuare testardamente a pensare che ci sono dei limiti che la battaglia politica, anche la più aspra, non debba mai superare, soprattutto dentro una pandemia», dice. «Non può essere questo il terreno della battaglia politica. Basta, non alimentiamo polemiche».

Il ministro difende lo schema utilizzato per assumere le decisioni che hanno fatto sì che ogni singola Regione finisse in una zona 'rossa', 'arancione' o 'gialla'. I criteri di monitoraggio su 21 parametri «sono stati condivisi in due riunioni» con le Regioni. «Da 24 settimane», è la sottolineatura, «vengono utilizzati senza che nessuna Regione si sia mai opposta e senza mai una voce contraria dal Parlamento».

Il coinvolgimento, quindi, c'è stato. Nessuna decisione improvvisa imposta dall'alto. Da adesso in avanti, quindi, il sistema viaggerà in modo praticamente meccanico. «La mia ordinanza è conseguenza automatica dei dati», sottolinea Speranza avvisando le Regioni, «non ci sono trattative ma scambi di dati e informazioni».

L’opposizione

La maggioranza, fresca dell'armistizio siglato ieri sera a palazzo Chigi tra Giuseppe Conte e i leader, si alza in piedi e tributa al ministro un lungo applauso. Il centrodestra interviene in replica per puntare il dito contro chi «vuole tingere di rosso regioni che non lo sono, mentre l'unico rosso che dovrebbe provare è quello della vergogna» e non si accorge che «tra un po' non si morirà solo di covid ma purtroppo si morirà di fame». La strada della collaborazione e dell'unità è ancora lunga.

© Riproduzione riservata