Potrebbe essere in riva al mare la prima sconfitta del premier Mario Draghi. Le cronache raccontano di manovre e scontri violentissimi dietro le quinte a difesa dei fortini costruiti dai balneari.

Il campo di battaglia è quello annoso delle concessioni balneari e riguarda l’applicazione della “famigerata” direttiva Bolkestein. Sul fronte troviamo schierati tutti i partiti a difesa di una situazione che non deve in alcun modo essere messa in discussione, con la minaccia di mandare sotto il governo in parlamento se mai trovasse spazio nel disegno di legge sulla concorrenza.

Discussione pubblica

Ci permettiamo di suggerire una strategia per uscire da questa situazione al presidente del consiglio. Il tema non è da trincea e va affrontato apertamente con una discussione pubblica e politica.

Non riguarda infatti solo i 12mila proprietari delle concessioni su suoli demaniali lungo le coste ma il futuro di uno straordinario patrimonio turistico e ambientale. Lo scontro che va avanti da 15 anni intorno alle regole fissate dall’Unione europea, in vigore da tempo negli altri paesi, ci ha impedito di vedere come si stavano trasformando i litorali e così di rinviare ogni provvedimento a quando la partita fosse stata chiusa.

Eppure, in nessun altro paese al mondo troviamo una situazione paragonabile a quella italiana di cessione delle spiagge alla gestione privata. Mediamente metà delle spiagge è dato in concessione ma con situazioni incredibili. Per farsi un’idea, nel comune di Gatteo, in Romagna, si arriva al 100 per cento ma numeri simili li troviamo da Rimini a Forte dei Marmi, da Pietrasanta a Laigueglia.

Risorse pubbliche e limitate

Come si fa a dire che non esiste un problema di concorrenza nei casi di gestione di “risorse pubbliche limitate”, che è il tema della direttiva, se quelle concessioni sono state prorogate fino al 2033? Ma, soprattutto, come ci si può non rendere conto di una situazione vergognosa che impedisce a chi è povero di andare al mare, fare un bagno e godere gratuitamente e liberamente di spiagge che sono pubbliche e inalienabili?

C’è un terzo problema, le spiagge italiane stanno scomparendo per via dell’erosione che oramai riguarda quasi metà della costa e questi processi diventeranno sempre più rilevanti in una prospettiva di cambiamenti climatici, di eventi estremi sempre più forti e frequenti con innalzamento del livello del mare.

È evidente che non si tratta di uno scontro tra i diritti di alcuni imprenditori e le regole di Bruxelles, ma del futuro di questi particolari territori e di come garantire trasparenza nella gestione e investimenti di qualità, il diritto per tutti di accesso alla spiaggia, la tutela e gestione di un patrimonio in uno scenario complesso.

Il premier dovrebbe raccontare al paese l’idea che il governo ha per affrontare l’insieme di questi problemi, attraverso una riforma che si occupi delle coste italiane e fissi obiettivi e regole.

È l’unica strada per uscire dagli interessi che si muovono intorno e dentro ai partiti, con i conflitti di interessi evidenti per la Lega e il Pd, e far capire di cosa si sta discutendo davvero. Anche perché non è vero che è troppo complicato intraprendere una strada di cambiamento e che non paghi politicamente.

A Lecce il Sindaco Salvemini si è candidato alle elezioni annunciando che avrebbe ridisegnato le forme di utilizzo della costa, con concessioni brevi e non applicando la proroga. Ha vinto le elezioni e oggi sta portando avanti quelle idee, malgrado i ricorsi dei balneari e la scarsa solidarietà da parte degli altri sindaci.

Basterebbe studiare le esperienze degli altri Paesi europei, dove le procedure adottate di evidenza pubblica per l’assegnazione delle concessioni permettono di valorizzare le offerte migliori e di tutelare le imprese locali.

L’allarme per l’arrivo delle multinazionali è uno spauracchio, sventolato da chi vuole difendere un business vantaggiosissimo con canoni bassissimi e pochi controlli su lavoro e guadagni. E che spiega la corsa alle nuove concessioni, raddoppiate negli ultimi venti anni e con un più 12 per cento dal 2018.

Una discussione franca aiuterebbe anche il Pd di Enrico Letta a trovare una posizione che sia minimamente difendibile rispetto al profilo europeista e di difesa dei diritti che sta provando a mettere in campo rispetto ad altri temi.

La soluzione non è rinviare ancora una volta un intervento sul tema ma mettere i partiti di fronte alla responsabilità di raccontare che idee vogliono portare avanti per rilanciare il turismo, la qualità e accessibilità alle coste nell’interesse davvero di tutti i cittadini.

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