Che cosa sarebbe successo se durante l'emergenza Covid a Palazzo Chigi, invece di Giuseppe Conte ci fosse stata la destra sovranista di Matteo Salvini e Giorgia Meloni? Il medievista Alessandro Cutolo chiarì oltre mezzo secolo fa che «nessuno può dire, con serietà, quello che sarebbe avvenuto ove la storia non avesse camminato come effettivamente ha camminato». Ma un'idea di massima possiamo farcela.

L'impreparazione strategica dell'esecutivo in merito alla seconda ondata della pandemia è evidente, come naturali sono le critiche dell'opposizione sui ritardi dell'approntamento di terapie intensive supplementari, o sui mancati investimenti in tracciamento e medicina territoriale. Senza parlare della balbettante comunicazione del rischio e le divisioni tra fazioni, che producono da un mese Dpcm incoerenti e pasticciati.

Le possibili risposte alla sfida del coronavirus sono fatto politico, e la dialettica tra maggioranza e partiti di minoranza, biasimi compresi, resta vitale anche nelle crisi più complesse. Ma è un fatto che la Lega e Fratelli d'Italia abbiano dato, durante i primi otto mesi del contagio, uno spettacolo preoccupante. Un mix di sottovalutazione, propaganda negazionista, complottismo strisciante e strumentalizzazioni dell'emergenza che rendono oggi impossibile – nonostante gli errori di grillini e democrat - presentarsi al Paese come credibile alternativa di governo. Soprattutto durante una drammatica fase epidemica.

Salvini e gli irresponsabili

Salvini e atri big della Lega per mesi hanno disincentivato scientemente l'uso della mascherina, seppure gli scienziati avevano definito l'importanza di un utilizzo massiccio. «Ma perché dovrebbe esserci una seconda ondata? In Italia ormai una tre quarti del Paese sono esenti dai contagi e dai ricoveri. È inutile terrorizzare le persone: sono ormai tanti i medici che stanno dicendo che il virus adesso ha una gravità assolutamente inferiore a qualche mese fa», diceva il leader del Carroccio il 25 giugno, quando ancora si contavano 34 morti al giorno e centinaia di nuovi positivi.

L'ostilità alle mosse di Conte e soci può essere comprensibile, meno da uno che ripeteva, il 30 agosto, che «se qualcuno continua a parlare di seconda ondata l'Italia muore: basta con questo terrore diffuso quotidianamente, c'è qualcuno che sembra quasi invocare il virus per poter allungare il suo futuro politico». Un messaggio grave, ripetuto anche a settembre: «E arriva la seconda ondata...e arriva la terza ondata...non si può criminalizzare chi esce di casa, chi vuole andare a vedere la partita, chi l'aperitivo!».

Il leghista ha appoggiato le ipotesi ascientifiche di Alberto Zangrillo e Vittorio Sgarbi, ha partecipato in Senato a convegni negazionisti rifiutandosi di usare protezioni sanitarie («la mascherina? Non ce l'ho e non me la metto»), ha usato la potente macchina propagandistica della Bestia per divulgare foto e video di suoi fan assembrati uno sull'altro. In pose da leader ribellista copiate dai populisti Jair Bolsonaro e Donald Trump, e di seguito imitate in estate da milioni di italiani che – anche a causa del cattivo esempio di chi dovrebbe avere responsabilità pubbliche – ha creduto che il Sars-Cov2 due fosse improvvisamente sparito, e che gli scienziati rigoristi e politici che ne seguivano i dettami fossero i registi di un'infodemia, strumentale solo alla tenuta del potere.

Proposte zero

Per la lotta al Covid Salvini e il suo partito hanno rimproverato con durezza Conte e il ministro della Salute Roberto Speranza, ma proposto quasi mai soluzioni alternative sensate. Le «30 proposte già impacchettate» lanciate dalla Lega a maggio restano a oggi misteriose. Altre, sono quantomeno azzardate. Se uno studio Lancet dice che gli assembramenti con più di 10 persone costituiscono il maggior pericolo di diffusione del virus, Salvini replica che lui gli stadi li avrebbe aperti: «Non sono d'accorso sulla loro chiusura» ragiona il 5 settembre, citando il (pessimo) precedente del Gran Premio di Imola. «Lo sport è passione, le partite di pallone, tennis basket o pallavolo senza pubblico non mi paiono sport: se negli impianti di Roma, Napoli e Milano fanno entrare diecimila tifosi va bene, direi».

Così oggi, quando il leader si interroga sui «cosa è stato fatto per prevenire questa seconda ondata, non vorrei che qualcuno si fosse seduto sperando nel buon Dio», rischia di sembrare poco credibile.

Meloni e la dittatura sanitaria

Giorgia Meloni ha definito Conte «un criminale» e il governo tutto «inadeguato a gestire l'emergenza», ma ha un profilo differente da Salvini. Più preparata nella sostanza e attenta alla forma, non è caduta in scivoloni riduzionisti paragonabili a quelli del suo socio. Anche lei – subito dopo il lockdown – ha organizzato manifestazioni di piazza in cui gli migliaia di astanti non rispettavano le regole anti-Covid, ma quantomeno non ha mai polemizzato sull'uso delle mascherine o sul distanziamento sociale.

Dentro il suo partito, Fratelli d'Italia, Daniela Santanché e Ignazio La Russa hanno chiesto libertà di assembramenti («Gli stadi ancora chiusi? È da cultura radical chic che punta a penalizzare uno sport popolare come il calcio», ha detto l'ex berlusconiana), mentre qualche peones come Teodora Rizzo si è domandata come mai proprio nella discoteca di Flavio Briatore fosse scoppiato un focolaio della malattia: «Sorge logico e naturale pensare che il Covid sia qualcosa di chimico che viene programmato».

Meloni è stata più prudente. Ma ha pure aizzato i suoi seguaci sul tema di una presunta “dittatura sanitaria”, imposta con perfida furbizia dal governo per oscuri fini. «Le mascherine non possono diventare un bavaglio», ha chiarito. «Questo terrorismo sul Covid serve per spaventare le persone perché non vadano a votare. Elezioni (regionali, ndr) che la maggioranza potrebbe perdere». La presidente del partito sovranista ha soffiato anche lei sulla rabbia sociale, ipotizzando cospirazioni, e criticando la proroga dello stato di emergenza («al governo sono dei pazzi irresponsabili») fino a fine anno. Più pericolosa, in termini di contrasto alla pandemia, la campagna contro l'app Immuni: se in Giappone, Corea del Sud e Taiwan la tecnologia ha permesso un tracciamento capillare e il contenimento della pandemia, la Meloni ha annunciato agli italiani di «non scaricare la app: io non l'ho scaricata». Motivo: il business privato dei dati personali, e la decisione di Palazzo Chigi di non voler monitorare gli immigrati («ci dicono che sarebbe razzista»), ma sorvegliare gli italiani «con droni e braccialetti». Propaganda martellante che ha funzionato (ancora pochi i cittadini che hanno scaricato Immuni), ha creato adepti e diffuso cattive abitudini e cattivi pensieri. I sondaggi però vanno a gonfie vele, e la Meloni va però dritta per la sua strada: «Chi sta difendendo la democrazia in Italia? Solo noi», ha detto senza tentennamenti. Il governo è certamente debole, ma la classe dirigente della destra ha dimostrato di non essere, ad ora, un'opzione valida.

 

© Riproduzione riservata