«In Afghanistan abbiamo un fatto un casino. Nel 2001 Bobo era dubbioso, anzi contrario all’intervento voluto da Bush, ma conoscendo la situazione d’infamia che viveva quel paese, all’idea che una presenza armata in quella zona potesse aiutare lo sviluppo della democrazia un po’ ci avevamo creduto anche noi. Oggi è una situazione dolente, terribile».

Quando a Sergio Staino esce il “noi” intende Bobo, sua creatura satirica da quarant’anni, il militante pci-pds-ds-pd sempre scettico nei confronti del partito, e sé stesso, di cui Bobo è alter ego, o forse viceversa. «Ma non sono d’accordo con Enrico Letta che ora dice che è stato sbagliato l’intervento del 2001. Il vero ministro degli esteri dell’Italia del centrosinistra resta sempre Emma Bonino». È un complimento alla leader radicale ma anche una cannonata a Massimo D’Alema, ministro degli esteri del secondo governo Prodi. Staino, che pure è stato renziano ma ora è pentito, non lo ama: «D’Alema è il politico che ha fatto i danni peggiori alla sinistra italiana della fine del Novecento. Renzi quello che li ha fatti negli anni Duemila».

Prima di passare alle spiegazioni, il contesto: la conversazione si svolge a tappe, Staino è in giro nel sassarese, Alghero e caraibici dintorni, al bel festival «Dall’altra parte del mare», per presentare il suo libro  Storia sentimentale del Pci (anche i comunisti avevano un cuore (Piemme). Il racconto non è precisamente agiografico. Ha passato gli ottanta ma se ne infischia. Ma ha quasi del tutto perso la vista e quando firma i libri disegna il suo Bobo a memoria, assistito dalla sua elegantissima e amatissima Bruna, la moglie che – vedremo – lo ha salvato dal comunismo.

Il senso della tua storia è: “facevamo schifo”. Cioè credevate nell’Urss solo perché eravate ignoranti. È possibile?

In realtà volevo scrivere una storia affettuosa, nata dal fatto che voglio bene alle persone che facevano parte di quest’area. E mi sembrava anche bello partecipare a questa commemorazione importante per la storia dell’Italia e per l’Europa, la nascita del Pci nel 1921. Però è venuto fuori un filo rosso che conduceva immancabilmente a sottolineare la non giusta causa per cui è nato il Pci. La scissione ha provocato grandi danni e non essere riusciti a ricomporre la frattura con il Psi ha portato alla crisi che dura ancora oggi. E alla fine oggi è difficile dirsi comunista, devi mettere mille virgolette, “comunista italiano”, “che ha dato l’addio alla dittatura del proletariato”, “che si riconosce nella democrazia e nella Costituzione”, “che crede nelle riforme”. Io sono anarchico riformista. Ma sono sicuro che se fossi stato a Livorno nel ‘21 sarei stato con quelli che sono andati con la Russia e con Lenin.

Hai fatto di meglio. A un certo punto sei entrato anche nel Pcd’I-ml, il Partito Comunista d'Italia marxista-leninista.

Mio nonno mi raccontava che in Urss legavano le viti con le salsicce, per dire quanto benessere avevano. Se chiedevi a Joyce Lussu della Cina lei ti rispondeva che lì c’erano c’erano alunni per ogni classe. Voglio dire che all’epoca credevamo a bugie spaventose. Quando ci siamo resi conto che la rivoluzione in Italia il Pci non la voleva fare, e abbiamo visto che l’Urss non era quello che pensavamo, ci siamo rivolti alla Cina. Poi la Cina si è accordata con Nixon e allora ci siamo rivolti all’Albania come faro del socialismo nel mondo. L’Albania ragazzi, abbiamo creduto nell’Albania.

Non tutti hanno creduto all’Albania, Staino.

Certo, i “revisionisti” no. I sinceri rivoluzionari sì.

Presto saresti diventato un autore satirico. Non ti veniva già da ridere?

Infatti dopo ho inventato Bobo per autoanalizzarmi. E mi hanno anche pagato.

Ma sei stato salvato dal comunismo dall’amore per tua moglie Bruna.

L’ho vista a una festa e me ne sono innamorato subito in un modo terribile. Ma era la ragazza di un compagno peruviano. E il Pcd’I-ml ha detto no, vietato cambiare fidanzata. Un no ufficiale. È chiaro che poi quando sono riuscito a portarla a letto ho avuto sette giorni di impotenza perché sul mio povero pisello c’era il partito, la mamma, la chiesa, l’altra moglie, l’altro marito, l’Albania.

Intanto diventi autore di satira e pubblichi su Linus del grande Oreste del Buono. Fino a che Emanuele Macaluso, da direttore dell’Unità, ti chiama. Macaluso: quello che voi consideravate la “destra comunista”.

Quando mi chiamò non potevo crederci: la persona che mi sta più sui coglioni a sinistra mi chiama all’Unità? E invece ha insistito, mi ha mandato una persona meravigliosa, Carlo Ricchini, di La Spezia (caporedattore storico dell’Unità, ndr). Io gli dicevo “non posso, ma capite che Bobo è un portatore di dubbi laici? Non posso fargli illustrare le direttive del comitato centrale del Pci”, ma Macaluso offriva libertà totale, una striscia grande, riquadrata, la domenica quando l’Unità tirava 700mila copie. Anche soldi. “Ma io parlo male di voi!”, “È quello che vogliamo”, rispose Macaluso. Feci le prime strisce talmente cattive per non farmele pubblicare. Me le hanno pubblicate tutte. Macaluso voleva levare l’ecclesia, il dogmatismo, trasformare il Pci in un partito in cui ci si confrontava. Mi ricordo c’era una striscia in cui Molotov diceva che i russi quando facevano la vodka per l’Italia pensavano a Berlinguer e gli veniva male. Adesso non fa scandalo ma all’epoca era dura prendere in giro il segretario del partito sul giornale del partito. E poi faceva scandalo nei partiti fratelli. Quando feci il “Nattango” (un numero dell’inserto satirico Tango col segretario nudo in copertina che balla agli ordini di Craxi e Andreotti, ndr) Natta mi raccontò che i compagni tunisini gli avevano chiesto se l’Unità era ancora in mano al partito.

Con D’Alema direttore non è andata benissimo, l’ha già detto. 

Quando l’Unità era in crisi ed era stato chiuso Cuore (inserto satirico dal 1989 al 1996, ndr), Michele Serra era amato da tutti i giovani progressisti. Io lo convinsi ad accettare la direzione dell’Unità. Sono andato da D’Alema e gli ho detto: “Ho una grande notizia, Serra è pronto a fare il direttore del giornale”. Lui guardando verso il cielo: “è la proposta più deleteria che mi sia stata fatta sull’argomento. Michele Serra non saprebbe dirigere neanche sé stesso. Ho io la persona giusta”. Era Mino Fuccillo, risulta che abbiano festeggiato tre giorni la sua partenza da Repubblica.

E poi Matteo Renzi, il segretario che ti ha messo alla direzione dell’Unità. Perché hai accettato?

Purtroppo ho accettato, tutti i compagni che mi dicevano ‘ma che c.. fai, quello ti inc…” ed è stato così. Ma lo sapevo, ma volevo verificare, non credevo che non era possibile far uscire il giornale dalla crisi. Era giovane, simpatico. D’Alema non mi ha parlato per tre mesi per una vignetta. Renzi invece era diverso, magari ti rispondeva cose tipo “stai sereno”. Una volta a cena con Roberto Vecchioni, arrivò in ritardo e ci spiegò che alla presentazione di un suo libro aveva detto che Dante era di sinistra. Io fo: “se poi lo confronti a te, anche parecchio di sinistra”. Tutti a ridere, lui si gira e fa “Bella Sergio, bella, la posso mettere su Facebook?”. Uno del Pci si sarebbe offeso. 

Che impressione ti fanno le feste dell’Unità senza l’Unità?

Mi invitano raramente, mi dicono che siano feste tristi con vecchi compagni nostalgici che cercano di tenerle in piedi. Più che feste dovrebbero fare scuole,  per ricominciare a capire cos’è fare politica.

Che può inventarsi la sinistra nel governo Draghi?

Non so se avere Draghi sia un merito di Renzi, ma il fatto che ci sia lui è un gran bene per l’Italia e per l’Italia in Europa, e mi sembra splendido anche il rapporto che ha instaurato con una persona di cui mi fido molto come Sergio Mattarella. Quanto al Pd io ho un fortissimo dubbio. Non mi riconosco in questa fissazione su Giuseppe Conte. Lo considero meno che zero, una persona senza personalità, senza cultura, senza idee, un improvvisatore, un temporeggiatore. 

Il Pd non dovrebbe allearsi con i grillini?

Il “vaffa” è la morte della discussione, del confronto. Fra l’altro conosco Grillo da quando era un ragazzo, veniva ospite ogni stagione al teatro Puccini di Firenze quando ero direttore. C’era un abisso fra le cose che diceva e il suo modo di vivere, fatto di opportunismi. Anche dal punto di vista monetario.

E allora come vede il futuro del Pd?

Su Letta cominciano a nascermi dubbi, glieli ho anche espressi, gli ho scritto. Dovrebbe prendere più distanza dai Cinque stelle, non è bene farsi vedere così vogliosi di lavorare con loro, o per lo meno inserire questa voglia in un progetto politico in cui si dice chiaramente si vuole superare il populismo. Anche la scelta di Siena, che io da buon militante difenderò, non è stata felice. Doveva mettere uno come Gianni Cuperlo, avrei preferito che girasse metro per metro l’Italia per vedere lo stato del partito e inventarsi delle soluzioni più convincenti delle Agorà.

Non le piace nessuno?

Ci sono dei buoni democristiani con cui vado d’accordo. Per esempio Dario Franceschini, il ministro della Cultura, è una persona con cui si parla bene, vorrei progetti più coraggiosi ma non mi lamento. Ho fiducia in Peppe Provenzano e Andrea Orlando, ma vorrei che avessero tutti e due più coscienza di un progetto sulla sinistra. E dovrebbero ascoltare di più i socialisti.

Staino, i socialisti?

Sì, i socialisti. Rino Formica. Nel mio cuore ha preso il posto di Macaluso.

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