Stefano Vaccari (responsabile organizzazione Pd, neoeletto in Emilia Romagna, nella quota proporzionale, ndr), anche nella sua Emilia Romagna la destra ha avuto una forte affermazione. Gli argini delle regioni rosse hanno ceduto: cos’è successo?
Il risultato per il Pd è stato superiore di 2 punti percentuali rispetto al 2018 e di quasi 10 punti superiore al dato nazionale, ma evidentemente la proposta delle destre ha convinto di più. Abbiamo vinto tutte le ultime amministrative anche nei capoluoghi. Ma non basta più. Anche in Emilia Romagna il punto è il radicamento e la funzione del Pd e della sinistra, nel rapporto con la società, soprattutto con quella parte che sta peggio dopo la pandemia e ora dentro la crisi energetica. Poi, certo, se alle tue difficoltà sommi gli effetti di quell’obbrobrio di legge elettorale, il voto ha chiuso il cerchio.

Avete sbagliato la campagna elettorale?
La campagna elettorale è l’ultimo miglio di un percorso che comincia prima. Il nostro è  cominciato nel 2019 a Bologna e poi continuato cambiando pelle al Pd e dirigenti nel territorio, poi con le Agorà democratiche che avevano suscitato una nuova partecipazione. Le scelte della comunicazione possono essere piaciute o meno, e con il senno di poi sono bravi tutti, ma il tema erano e sono le idee con le quali ti presenti agli italiani. E la credibilità che hai come soggetto collettivo non solo di chi lo dirige in quel momento. 

Perché sono saltate le alleanze con M5s e con Calenda?
Perché hanno prevalso gli egoismi personali e di partito, lasciando campo vinto alla destra nei collegi. La storia di divisioni della sinistra in questo Paese ad alcuni non ha insegnato nulla, perché di quella storia non hanno mai fatto parte. Uniti si vince, divisi si perde: non era difficile capirlo,  le recenti amministrative ce l’avevano ricordato.

Alcuni amministratori del Pd si fanno avanti: viene avanti una nuova classe dirigente, un nuovo segretario?
Nei momenti di difficoltà tutti sono utili, ma nessuno è risolutivo da solo. Lo dico perché mi sarebbe piaciuto vedere questo afflato per le sorti del partito, e questo tiro al piccione contro il Pd o contro il segretario in carica, anche all’indomani del voto del 2018 quando toccammo punti molto bassi di consenso. Ma poi una seria analisi del voto non si fece mai e per arrivare ad un congresso di rilancio passò un anno. Serve più umiltà e rispetto da parte di tutti. Soprattutto verso chi nei circoli e sui territori ha fatto la guardia al bidone in questi anni difficili di rigenerazione. I sindaci e gli amministratori sono una risorsa decisiva per la ricostruzione di un rapporto con il Paese. Purché non si pensino avulsi da una comunità collettiva.

Serve un congresso per rigenerare il partito. Che vuol dire?
Serve un congresso perché un partito di massa quale siamo – il più grande e radicato del Paese, nonostante tutto – deve ridefinire l’identità e la linea politica. Perché siamo stati per troppi anni il partito dell’emergenza e della responsabilità per salvare le sorti del Paese, dando l’idea che poi alla fine ci interessasse meno la condizione di vita delle persone più in difficoltà. Serve un congresso sulle idee, oltre che sui nomi. Ma idee che partano da un’analisi della società italiana per come è cambiata dopo la pandemia che ha isolato gli individui e aumentato le disuguaglianze,minato il senso di appartenenza. Serve un nuovo partito, come ha detto Letta. La maggior parte delle persone di quel 35 per cento di italiani che è rimasto a casa domenica scorsa pensa che siamo tutti uguali. E che per loro il voto non avrebbe cambiato nulla. Un congresso serve per ridare fiducia a quei tanti e mettere in campo un soggetto collettivo che li coinvolga e li faccia sentire parte di un progetto di cambiamento delle loro condizioni di vita. 

Zingaretti se n'è andato lanciando dure accuse contro le correnti, oggi in molti si lamentano delle correnti. Non è un eterno rituale, e anche un po' ipocrita?
Sì certo, anche perché chi lo fa è spesso parte del problema, avendo rappresentato quelle correnti a vario titolo in questi quattordici anni, e avendo demolito ogni tentativo di cambiamento del segretario di turno. Non solo: talvolta gli stessi che demonizzano le correnti quando si perdono le elezioni, prima, quando si fanno le liste, usano le correnti per costringere il partito a candidature magari tutte maschili, o non all’altezza della sfida. Usciamo dall’ipocrisia e diciamoci che le aree culturalihanno senso se producono idee ed elaborazione nel confronto interno, almeno, e non solo sui posti che sono in grado di garantire. Ad ogni livello.

Al Pd serve una fase costituente?
Probabilmente sì, per generare un nuovo Pd in grado di includere esperienze politiche e associative, non ceto politico, a partire da giovani e donne dentro e fuori il Pd. Potremmo intanto fare una prima scelta nell’assemblea nazionale che discuterà il percorso congressuale da avviare: cambiamo lo statuto e indichiamo la doppia rappresentanza di genere per la guida del nuovo Pd. Per dare il segnale che affrontiamo sul serio questa discussione, e accettiamo di fare una scelta di stampo europeo.

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