Rosa contro rosa. Secondo fonti di Montecitorio i tre leader del centrosinistra starebbero preparando una “rosa” di nomi di alto profilo nel caso in cui la “rosa” del centrodestra fosse composta di nomi non sufficientemente «super partes», come sembrerebbe dalle indiscrezioni circolate nel corso della notte e in queste ultime ore. Matteo Salvini ieri aveva annunciato «non una ma diverse proposte di qualità, donne e uomini di alto profilo istituzionale e culturale, su cui contiamo ci sia una discussione priva di veti e pregiudizi». 

Fra i nomi proposti ci sarebbero infatti Marcello Pera, Letizia Moratti, Elisabetta Casellati e Carlo Nordio, l’ex pm che però sembra essersi sfilato ieri con un tweet  in cui cita le parole del centurione di Cafarnao: «Domine non sum dignus. Signore, non sono degno». 

Alcuni di questi nomi sono stati già bocciati dal leader Pd. E infatti nella rosa non comparirebbe Franco Frattini, nome che resta coperto. Perché con questa prima mossa siamo ancora alla tattica. Preso atto delle proposte del centrodestra, a stretto giro il centrosinistra contrapporrebbe un’altra rosa, di cui farebbe parte la ministra Paola Severino e di Andrea Riccardi, ex ministro e fondatore della Comunità di Sant’Egidio. 

Il guanto di sfida

Il film che viene descritto potrebbe essere: le due rose si “eliminano” reciprocamente, dunque si apre un tavolo finalmente vero con pochi nomi tenuti fin qui al riparo dei veti reciproci. Da una parte, appunto, potrebbe essere Franco Frattini, dall’altra Pier Ferdinando Casini, che è sostenuto da una parte del Pd (in Transatlantico si raccolgono indizi di una grande attivismo da parte del ministro Dario Franceschini), una parte dei Cinque stelle e di Forza Italia, e Matteo Renzi, da sempre convinto della possibilità di farcela per l’ex  presidente della Camera.

«Una parte della Lega potrebbe digerirlo, certo non fratelli d’Italia», viene spiegato da un deputato dem. «Oggi non so dire un nome perché non c’è ma so che entro giovedì, massimo venerdì dobbiamo eleggere il presidente della Repubblica. Non è il momento dell’incertezza», dice il segretario Pd Enrico Letta. Parole che sembrerebbero rinunciatare rispetto a un accordo su Mario Draghi, che fra l’altro in queste ore viene “silurato”, come potenziale presidente della Repubblica, da molti esponenti delle destre, dal coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani al capogruppo leghista Riccardo Molinari.

Per il Pd quella di Draghi non è una partita ancora chiusa; ma intanto è necessario bruciare i candidati “inadatti” delle destre. Anche in questo senso si può leggere l’intervento del segretario dem, parlando della crisi di Kiev alla Cnbc: «Dobbiamo difendere l’Ucraina. Abbiamo bisogno di qualcuno che unisca i Paese, come ha fatto Mattarella, e che sappia rassicurare e che sappia riaffermare chiaramente l’atlantismo dell’Italia. È uno dei requisiti più importanti in questo momento».

Un concetto, quello del «limpido atlantismo» come prerequisito per andare al Colle, rilanciato da Filippo Sensi, Lia Quartapelle, responsabile esteri del Pd, Anna Ascani, viceministro. Implicito ma chiarissimo il riferimento a Franco Frattini, da sinistra sospettato di essere troppo filo Putin.

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