È andata come doveva andare con le nomine alle imprese pubbliche: il governo Meloni ha fatto le sue scelte e ha messo le sue persone, con qualche conferma e molte sostituzioni, in nome della tradizione seguita fin qui da tutti i governi italiani, che qualcuno chiama impropriamente spoils system.

In effetti questa dizione inglese deriva dalla prassi consolidata negli Usa dove, alla nomina del presidente, decadono un certo numero di posizioni nell’amministrazione che il nuovo eletto può sostituire con persone di sua fiducia. Lo spoils system americano riguarda essenzialmente la burocrazia della pubblica amministrazione che dovrà rispondere a un nuovo governo.

Il modello italiano

In questo senso, anche l’Italia ha introdotto, con il ministro Franco Bassanini nel 1998, un sistema di sostituzione eventuale delle cariche dirigenziali apicali della pubblica amministrazione, all’atto della nomina di un nuovo governo. La logica di questi sistemi è quella di garantire ai governi una capacità di gestione della cosa pubblica in linea con i loro programmi, ciò che implica la possibilità di disporre di persone di fiducia nei posti di comando della pubblica amministrazione.

Ma questo sistema non riguarda affatto le imprese pubbliche, perché esse non sono strumento di attuazione del programma del governo. Si tratta di imprese sottoposte al codice civile che hanno i loro scopi ben determinati nei loro statuti e si tratta spesso di imprese quotate sul mercato dei capitali e quindi partecipate da molti altri azionisti i cui interessi vanno difesi e non possono essere né confusi, né assoggettati agli interessi politici del governo.

Quindi, non è applicabile lo spoils system nel caso di queste imprese, tanto è vero che il cambio dei vertici non avviene perché c’è un nuovo governo, bensì quando i vertici scadono periodicamente secondo i rispettivi statuti delle aziende (a meno che il governo non ricorra alla sua capacità di persuasione per accelerare il ricambio tramite dimissioni “spontanee”, come purtroppo è già accaduto).

I precedenti

Si deve riconoscere che, finora, nessun governo italiano si è privato della possibilità di nominare persone di propria fiducia nelle aziende pubbliche, finendo per trattarle come strumenti della politica del governo. Il caso più emblematico è quello di Cassa depositi e prestiti, la più grande delle partecipazioni pubbliche, che controlla la gran parte delle imprese pubbliche italiane: i suoi vertici sono stati cambiati ogni tre anni negli ultimi quattro mandati (ossia 12 anni), in seguito ai continui cambi di governo.

In realtà, con riferimento alle nomine nelle imprese pubbliche, il governo dovrebbe agire come uno degli azionisti, seppure di controllo: dovrebbe indicare persone capaci di perseguire l’interesse dell’azienda (e non del governo azionista), che siano competenti ed estranee a fatti corruttivi presenti o passati, in modo da poter essere di garanzia per tutti gli azionisti dell’impresa.

A loro volta, gli amministratori scelti dovrebbero perseguire solo gli interessi delle aziende loro affidate, senza subire le indicazioni dei singoli azionisti, siano essi anche di controllo, perché devono tutelare tutti gli azionisti, compresi quelli di minoranza. E in questo senso, non depone bene il balletto di indiscrezioni, polemiche e tensioni tra i partiti della maggioranza che hanno preceduto queste nomine, finendo per attribuire a ognuna di esse un cartellino politico di provenienza nell’ambito dei partiti di governo.

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