Quando era al potere non sopportava le minoranze litigiose, adesso replica la stessa tattica di logoramento che fu tipica del segretario di Rifondazione comunista nei governi Prodi
- «La fiducia non c’è più», Matteo Renzi immemore di sé e dei suoi comizi si è trasformato in quello che odiava: un leader di un partitino di una sinistra rissosa.
- Il suo è un fenomeno da fine corsa, fra la pena dantesca del contrappasso e la sindrome di Stoccolma. Ha dato del «rissoso» e «scissionista» a tutti quelli che lo contestavano. Dal 2016 del referendum costituzionale alla Leopolda in cui i suoi gridarono «fuori, fuori» a Bersani.
- «A volte ritornano» diceva lui agli epigoni del Prc. Ora si trova a parti rovesciate, pronto a far saltare un governo e a spianare la strada alle destre.
«La fiducia non c’è più», «Sono pronto a far cadere Conte se non fa marcia indietro», «Italia viva è un piccolo partito ma siamo decisivi per il governo», «Non tiriamo a campare, vogliamo cambiare», «Non ci basta uno strapuntino, vogliamo la politica», e via via in un crescendo rossiniano, un vortice di avvertimenti, avvisi e preavvisi di fine mandato, ultimatum e penultimatum. Ancora ieri sera al Senato, Matteo Renzi, come immemore di sé e della sua storia, minaccia la crisi di governo. Si dich



