Tassare le banche per allisciare i furbetti: il fisco al contrario per un altro condono

Il clima non è certo sereno, il rischio di scontro totale è sempre più alto: la trattativa del governo con le banche, per stabilire l’entità e la modalità del contributo da chiedere per la prossima manovra, sta diventando un braccio di ferro. Il punto di caduta è ancora lontano, nonostante dal ministero dell’Economia di Giancarlo Giorgetti si faccia professione di ottimismo. Sul tavolo l’esecutivo ha portato la richiesta di 5 miliardi di euro da prelevare come un contributo straordinario, una tassa sugli extraprofitti a tutto tondo, cambiando anche il modus operandi rispetto allo scorso anno quando è stata usata la leva delle dta. Taglietto alle tasse e condono. È la manovra dei buoni pasto L’operazione di deduzione delle imposte è stata rinviata al 2026. Diventando una forma di prestito. Per la prossima legge di Bilancio, invece, il progetto allo studio del governo è più ardita. Anche perché il piatto delle risorse piange. La controffensiva dell’Abi L’Abi, l’associazione degli istituti di credito, ha cercato di ammorbidire le posizioni dell’esecutivo. L’idea era quella di riproporre il modello dello scorso anno. E ha sorpreso che il governo abbia chiesto cifre più alte e modalità diverse di fare cassa. Di fronte alla prova muscolare, i vertici dell’Abi hanno messo in conto questa sera una riunione di urgenza per decidere come muoversi nel caso in cui l’esecutivo decidesse di forzare la mano fino in fondo nel Consiglio dei ministri. Il testo della legge di Bilancio sarà approvato, salvo slittamenti, domani per essere poi trasmesso alla Camere entro la fine della prossima settimana. Si capirà qualcosa di più. Banche, competitività e mercato unico. Il ruolo dell’Europa (dormiente) Una delle opzioni allo studio dell’Abi è quella di denunciare l’incostituzionalità della norma, perché interverrebbe su profitti ottenuti sul mercato. Una linea già seguita dai colossi energetici quando è stata adombrata l’ipotesi di tassazione sugli extraprofitti. L’offensiva anti banche è stata orchestrata politicamente dalla Lega di Matteo Salvini, alla ricerca delle risorse economiche per finanziare una rottamazione delle cartelle totale, così come aveva scritto il suo partito in una proposta di legge presentata in parlamento. Ma il condono fiscale, in quella maniera, avrebbe un costo molto più elevato del miliardo di euro messo a disposizione dal Mef per la prossima manovra. In sintesi, si tratta di un premio ai furbetti del fisco. Salvini ha deciso di spingere, trovando la sponda di Fratelli d’Italia e in parte anche di Noi moderati. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, aveva annunciato una misura ecumenica, all’insegna dell’accordo con le banche. Al momento del dunque, l’orientamento è stato diverso. L’obiettivo è pure politico: Fratelli d’Italia vuole portare agli elettori lo scalpo delle banche in campagna elettorale. Meloni si promuove e attacca i cortei e la Cgil: «Non difende i lavoratori» L’unico partito della maggioranza davvero contrario al prelievo verso le banche è Forza Italia, che considera l’intervento illiberale. Una misura da «Urss» è la definizione data dal partito di Antonio Tajani, che però si trova in minoranza rispetto agli alleati. Gli azzurri si propongono per il ruolo di mediatori. C’è infatti chi, in ambienti di maggioranza, prevede un ravvedimento nelle ultime ore, immaginando una chiusura del confronto con un contributo sui 2,5 miliardi di euro. Sarebbe, insomma, una strategia quella di Giorgetti & co. E, mentre il governo ingaggia il duello con le banche, nemmeno le imprese sono soddisfatte. Le audizioni degli organismi indipendenti in parlamento sul Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp) non hanno lasciato spazio a interpretazioni. L’impatto sul Pil sarà invisibile per il 2026, «neutrale» per usare la terminologia tecnica, e di un +0,2 per il biennio successivo. Imprese, Urso non spende 4 miliardi e Giorgetti li ricicla in manovra Imprese dimenticate La crescita è assente dalla legge di Bilancio. Le imprese sono le grandi dimenticate dalla manovra. Da qui la preoccupazione espressa sabato dal presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, che ha chiesto una «manovra poderosa», visto l’avvitamento della produzione industriale, che ad agosto è scesa del 2,7 per cento rispetto allo scorso anno confermando un trend negativo che va avanti da due anni. «La parola crescita è fondamentale per creare certezza», ha sottolineato il numero uno degli industriali. L’impianto della legge di Bilancio è quella di limitarsi a qualche intervento di manutenzione per le imprese. Su tutte il rinnovo dell’Ires premiale e un meccanismo di incentivi per sostituire il meccanismo di Transizione 5.0, che dopo un anno dall’entrata in vigore ha lasciato ancora nel cassetto 4 miliardi di euro sui 6,2 miliardi di euro stanziati, nonostante il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ora esulti: «Transizione 5.0 carbura». Moda, ex Ilva e incentivi fermi: fallimento Urso sull’industria La soluzione potrebbe essere il sistema di Industria 4.0. In ogni caso l’ipotesi più ottimistica, secondo uno studio Unimpresa, è quella di mettere sul tavolo per gli imprenditori non più di 3 miliardi di euro. Molto meno di quanto chiesto alle banche.