Visto che deve rassegnarsi a non portare a casa il terzo mandato dei presidenti di regione, Giorgia Meloni può consolarsi: l’idea è impopolare. Secondo un sondaggio di Youtrend per Sky TG24, il 48 per cento degli italiano considera utile mantenere il limite di due mandati contro il 38 per cento che ritiene che questo limite vada abolito. In realtà però il vero motivo per lasciare perdere si è rivelato in queste ore un altro.

La premier aveva capito che far saltare il tetto ai mandati è un’arma per evitare il 4 a 1 alle prossime regionali: ma lo ha capito tardi. I tempi per portare a casa il provvedimento non ci sono. Esclusa la possibilità di procedere per decreto – i requisiti di necessità e urgenza sono insostenibili, quest’osservazione è stata riportata da più di un ufficiale di collegamento con il Colle – ed esclusa anche la pretesa di rimandare il voto delle regioni – negli stessi conversari è stato fatto notare che un precedente vicino c’è, ma c’era il Covid, «ora quale ragione osterebbe al voto?» – resta solo la strada maestra di un voto del parlamento. Ma col passare dei giorni si rivela impraticabile: la maggioranza dovrebbe depositare martedì 17 un ddl che in soli due mesi, e cioè prima della pausa estiva del parlamento, riesca a fare la spola Senato-Camera. Con l’accordo blindato della destra, e dribblando l’ostruzionismo del centrosinistra? Impossibile.

Vagone inammissibile

Nella giornata di lunedì 16 è sembrata cadere l’idea di usare come «vettori» altri provvedimenti, a cui appiccicare un emendamento: è considerata «ardita» anche da Fratelli d’Italia. Due «vettori», cioè due disegni di legge in esame, per la verità ci sono, e sono entrambi in commissione Affari Costituzionali del Senato.

Il primo è il ddl 1451, quello che abbassa al 40 per cento la soglia per la vittoria al primo turno dei candidati sindaci nei comuni con più di 15mila abitanti. Il testo approda martedì 17 pomeriggio alla discussione, ma in “sede referente”, che vuol dire che non ha la marcia veloce. In Commissione c’è anche il ddl 1452, che allarga il numero dei consiglieri e degli assessori regionali delle regioni piccole (regalo alla Liguria di Marco Bucci).

Questo è in “sede redigente”, quindi procederà più veloce in aula. Ma basta fare un giro di telefonate ai componenti di maggioranza per scoprire che agganciare all’uno o all’altro ddl il vagoncino del sì al terzo mandato sarebbe imbarazzante persino per la «commissione Casi difficili», come la definisce con ironia il presidente Alberto Balboni (FdI) alludendo al sistematico ostruzionismo delle sinistre.

E infatti Dario Parrini (Pd) già avverte: «Un emendamento sul terzo mandato è palesemente estraneo per materia sia al ddl 1451 sia al ddl 1452. Nessuno dei due ha come tema i requisiti di eleggibilità di una carica esecutiva monocratica. Requisiti che sono un elemento delicato sul piano democratico. Quindi credo che nessuno della maggioranza si azzarderà a depositare un emendamento che il presidente dovrebbe necessariamente considerare inammissibile, a meno di compiere gravi forzature istituzionali che non voglio nemmeno immaginare».

Martedì 17 in commissione parte la discussione generale sul ddl 1451 e scadono i termini per gli emendamenti sul ddl 1452. Finora del fantomatico emendamento non c’era traccia.

Dall’alto no news

«Aspettiamo notizie dall’alto», sospira un autorevole senatore FdI della commissione. Cioè dal vertice annunciato ma significativamente non ancora convocato fra Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi. Le posizioni sono ormai note: la premier è pronta a dare a Luca Zaia in Veneto, in cambio del futuro candidato lombardo. Quanto a Salvini, il vicepremier leghista sa che o il candidato veneto sarà Zaia o non sarà della Lega ma di FdI. Tajani è contrario ma disposto a sedersi al tavolo. Raffaele Nevi, portavoce di FI, è sembrato più drastico: «Se proprio dobbiamo fare un tavolo urgente, ci interessa che si parli di argomenti che interessano i cittadini, ovvero della riduzione delle tasse». Ma è la classica tattica per alzare il prezzo. La verità è che tutto gira a vuoto. Ieri le agenzie parlavano di «stallo». Salvini stesso ha spiegato che il dibattito «rischia di stufare. Noi una proposta ce l’abbiamo, per me si fa un tavolo anche domani e si chiude la partita».

Ma non è il metodo che ha indicato Giovanni Donzelli quando, a sorpresa, ha riaperto la questione. Il numero due di FdI ha disegnato un’altra ipotesi: che la Conferenza stato-regioni presenti una proposta unitaria e unanime. Ecco, basterebbe questo a chiudere il discorso: perché fra i presidenti, il toscano Eugenio Giani voterebbe no e anche il pugliese Michele Emiliano (la loro segretaria Elly Schlein è contrarissima a prescindere dalla legge), per non parlare della sarda pentastellata Alessandra Todde. L’unanimità quindi è esclusa. Partita chiusa? Sì, ma non ufficialmente: resterà aperta ancora per un po’, ma solo per fare un dispetto al centrosinistra in Campania, dove l’uscente Vincenzo De Luca improvvisamente si sente tornato in ballo. Il terzo mandato insomma non si fa, ma per indebolire la sinistra, basta la parola.

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