Il soprannome “anima candida” depista: Damiano Tommasi ha un aspetto mite, il capello riccio anni Novanta che fa subito figurina Panini. Ma è un politico accorto, il Vangelo direbbe astuto come serpente e candido come colomba. Come quando dice che tifa Hellas Verona «come un ragazzino, senza neanche guardare la tecnica» e invece la sua As Roma come «un professionista». 

E così spiega che non può dare consigli ai leader nazionali dell’ex campo progressista anche se lui, nella Verona di cui è sindaco, ha giocato “largo a sinistra”: ha messo insieme lo schieramento che i leader nazionali non hanno saputo tenere unito.

Quel soprannome glielo aveva cucito addosso Carlo Zampa, storico speaker dello stadio Olimpico, lì per lì gli era piaciuto perché raccontava del suo impegno sin da ragazzino nel volontariato e nel sociale. Poi però, dopo anni del sindacato dei calciatori, ha cominciato a dargli un po’ fastidio. Non perché lo dipingesse come un buonista, spiega, ma perché «a lungo andare è diventato un modo per dire che ero una mosca bianca. E non era vero: nel mondo del calcio ci sono tantissime persone che, in questo senso, potrebbero tranquillamente essere chiamate “anime candide”».

Tommasi, 48 anni, da giugno è sindaco di Verona. Fino a lì è stato prima di tutto campione d’Italia con quell’epopea popolare, popolana e non populista che fu lo scudetto della Roma del 2001. Si dichiara tuttora calciatore anche se «non professionista», è stato un calciatore atipico. Poco star e molto generoso.

C’è chi ancora lacrima come una Madonna per un suo gol a Udine, in quel gran campionato. Ma non ci facciamo fregare, non è un’anima candida il sindaco di Verona: per lo meno non nel senso di uomo ingenuo e sempliciotto. Con serena ma implacabile determinazione ha portato a casa il suo gran gol inserendosi nelle divisioni di una città tradizionalmente di destra.

Da commissario tecnico di un gruppo di giovani motivatissimi. Sostenuto da Pd, Azione, Più Europa, Partito socialista, Europa verde, e liste civiche ma anche il M5s. Tenendo i partiti, che pure lo hanno implorato, a cordiale distanza.

Sindaco Tommasi, a Roma la coalizione che l’ha eletta ormai si è frantumata e litiga di brutto. Come farà a tenere uniti i suoi?
Noi siamo fortunati. Quello che è successo a Verona ha dimostrato che se stiamo insieme possiamo amministrare la città. Non ho particolari preoccupazioni rispetto a quello che sta accadendo, e che accadrà a Roma. La preoccupazione è per il paese, per il governo che abbiamo perso, e per l’eventuale la ricaduta di questo sugli enti locali. La paura è che rallentino operazioni che senza campagna elettorale andrebbero avanti con un’altra energia. Ma il progetto per la città prescinde.

Era meglio avere un governo nella pienezza delle sue funzioni?
Credo che nessuno abbia capito questo passaggio. Avevamo una persona di cui dovevamo essere orgogliosi, che faceva sedere l’Italia a capotavola in Europa. C’è una guerra in corso e stavamo andando verso una nuova legge di bilancio. E se le scelte della politica non sono comprese, è difficile motivare le persone a partecipare alla vita politica.

Da amministratore, ha paura che un nuovo governo di segno opposto possa modificare il Pnrr, come promettono i partiti della destra?
La partita del Pnrr era già complicata prima e ci espone molto nei confronti dell'Europa. Il piano che abbiamo ottenuto se non ben utilizzato rischia di diventare un boomerang. La preoccupazione c’è. Noi come enti locali abbiamo già le nostre difficoltà a trovare personale e professionalità con la tempistica imposta dal Pnrr, qualsiasi inciampo rischia di farci perdere la possibilità di farci utilizzare questi fondi, avere una macchina centrale non distratta da altro, diciamo così, aiuterebbe. Ma parlare del passato ormai è poco utile.

Per il futuro in molti promettono il taglio delle tasse. Non teme che in un modo o nell’altro possa tradursi in un taglio di servizi?
Intanto credo che prima bisognerebbe tagliare le tasse e poi comunicarlo, lo dico come metodo. Perché alle promesse da campagna elettorale ormai non crede quasi nessuno, e non è un caso che ci siano molti indecisi e non votanti, vuol dire che la politica non è convincente né dà speranze o certezze. Intendiamoci: che si tagli il giusto è un obiettivo giusto per agevolare le imprese e famiglie. Ma ripeto, sono slogan elettorali. Quando ho accettato di fare la campagna elettorale, avevo esattamente paura di dover parlare con gli slogan. Ho cercato di non farlo. Da cittadino mi aspetto che le persone governino, il resto lo lascio volentieri a chi fa marketing.

A Verona lei ha vinto grazie anche alla divisione delle destre. Il 25 settembre, quando si ripresenteranno unite, le destre si prenderanno una rivincita anche nella sua città?
Non credo. Due mesi fa i cittadini di Verona hanno detto che la nostra proposta era più convincente. Che le altre amministrazioni si erano allontanate dalle persone. Tante persone, movimenti e partiti, si sono messi assieme su un progetto che rimette la città nella posizione che merita, rispetto alla regione e rispetto all’Europa. Una proposta civica sulla quale i veronesi hanno già deciso.

Mi scusi il fatto che Verona sia una città di destra è una certezza nazionale, con tanto di pedigree di casi di cronaca e politica, per lo più cronaca nera. O no?
Verona si è lasciata raccontare così. C’è certamente una Verona conservatrice, non progressista. Ma la risposta dell’elettorato al voto di giugno ha detto che la città è anche tante altre cose. Negli anni ha tollerato di farsi schiacciare in un angolo, anche nel racconto nazionale. Intendiamoci, a livello internazionale Verona è conosciutissima per la sua bellezza. La nostra proposta ha fatto uscire fuori persone che fino a lì rimanevano in silenzio, ma c’erano, oppure si sentivano di non essere in linea con il racconto comune. Al di là della coalizione, è un elettorato che si è unito.

Con lei tanti giovani, anche al voto. C’entra il suo impegno da sempre nel sociale? Può dare un consiglio ai leader nazionali?
Noi li abbiamo coinvolti ragionando sul futuro. I giovani sono quelli che frequentano meno le urne e dunque le campagne elettorali non si rivolgono a loro, ma è un circolo vizioso. Noi abbiamo cercato di portare più persone possibili alle urne, e a candidarsi, non tanto o non solo per raccogliere voti ma per raccogliere la partecipazione alla vita di tutti i giorni ed essere parte attiva della città. Una città non cammina senza la partecipazione di molti. O va nella direzione di pochi, quella sbagliata.

In questa sua attenzione conta il fatto di avere sei figli?
Le tre maggiorenni hanno motivato molto il mio impegno per la città. E fare un progetto per dare ai veronesi giovani la possibilità di rimanere a costruire qui i loro sogni e i loro progetti professionali. Certo, avere in casa ragazzi motiva.

Perché il centrosinistra nazionale non è riuscito a fare “rete”, come lei?
Perché in una città è più semplice. È come il calcio, c’è un pallone solo e ci si concentra attorno a quello. Il pallone è la città, ci si concentra sulle cose concrete e si riesce a mettere a lato il resto.

Lei è stato un giocatore fisico, con grande resistenza, più che tecnico. Oggi che genere di politico è?
Sicuramente non un politico navigato e con esperienza. Posso solo dire che non ho tirato indietro la gamba. In campo poche volte mi è successo di non aver dato tutto quello che potevo. Tutti noi ora stiamo dando tutto quello che abbiamo. Sappiamo di avere limiti, sappiamo che quando arriverà il tempo delle scelte dovremo fare scontento qualcuno.

A proposito di limiti, la fede l'ha aiutata più perché le ha dato forza o perché i cattolici hanno tanti voti a Verona?
La fede è un fatto personale. Sono contento di avere avuto una formazione che mi dà equilibrio interiore e mi aiuta in tante situazioni. La fede è un valore che va testimoniato, ma non ne ho mai fatto un argomento da campagna elettorale. Non so cosa incide o no. Sicuramente le etichette contano. Ma la fede non è un’etichetta, una voce del curriculum. Io preferisco conoscere le persone, anche in campagna elettorale ho preferito il più possibile la chiacchierata nelle case, piuttosto che la stretta di mano in contesti organizzati.

Cosa pensa di Matteo Salvini che sventola croci e madonne?
Le macchiette, le caricature, le strumentalizzazioni mi danno fastidio. Sulla fede posso valutare solo le persone che conosco, e i politici che agitano le croci non li conosco personalmente.

Che succederà al centrosinistra il 26 settembre?
Il 26 settembre è san Damiano, intende questo? Scherzo. Mi auguro un ritorno al dialogo nel paese. Draghi ha presentato il paese in Europa come una squadra unita. Spero che il prossimo governo faccia lo stesso. Quanto alla sinistra, il paese non può non avere una forza progressista. E chi ha perso tanti pezzi per strada deve aver perso l’autenticità dei suoi valori.

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