La forza che lo ripete in modo quasi ossessivo è il Partito democratico: dopo il governo Conte bis ci sono solo le urne, in linea con quanto viene fatto filtrare anche dal Quirinale. Il messaggio agli alleati di governo non si presta a fraintendimenti e ha l’obiettivo di costringere i grillini ad essere più collaborativi sul fronte del Mes ma soprattutto di frenare le minacce di Matteo Renzi, che da settimane ipotizza un terzo governo di legislatura, sostituendo Giuseppe Conte. Tutto dipende da come si concluderà lo scontro sui fondi del Recovery fund, ma il ritorno alle urne ormai non è più un’ipotesi lunare. Anche perché, tecnicamente, è possibile farlo.

Quando

La finestra temporale è stretta ma non impraticabile. Si apre con la data fissata dallo stesso Renzi: l’approvazione della legge di bilancio; si chiude il 31 luglio, con l’inizio del semestre bianco del presidente della Repubblica, ovvero i sei mesi prima dell’elezione del nuovo inquilino del Colle durante i quali le camere non possono essere sciolte. Tenendo conto che tra lo scioglimento del parlamento e il voto devono passare due mesi e i tempi tecnici necessari per predisporre tutto, l’arco temporale si assottiglia ancora e porterebbe il calendario alla primavera.

Variabile indipendente, però, è sempre la pandemia. Se non ci sarà un terza ondata, il vaccino avrà fatto il suo dovere e la situazione complessiva si starà avviando verso la normalità non dovrebbero esserci impedimenti concreti al voto. Altrimenti, il Covid potrebbe complicare l’organizzazione e le procedure, anche se un primo test positivo è già stato quello del voto di settembre per le amministrative e il referendum costituzionale.

Legge e collegi

Attualmente una bozza di legge elettorale di tipo proporzionale è in discussione in commissione: si tratta del cosiddetto Brescellum, dal nome del primo firmatario, il grillino Giuseppe Brescia. Il testo, però, è arenato in parlamento ed è finito molto indietro nella lista dei provvedimenti da approvare, anche perchè non ha il consenso di tutta la maggioranza. Dopo un primo via libera in estate, infatti, Italia viva si è sfilata sostenendo di voler discutere di una legge di tipo maggioritario.

Risultato: nell’ipotesi di voto anticipato, non ci sarebbe tempo per approvare una nuova legge elettorale, quindi si andrebbe alle urne con il Rosatellum. Latinismi a parte, la legge Rosato approvata nel 2017 è un sistema elettorale misto: il 37 per cento dei seggi è assegnato con sistema maggioritario a turno unico in collegi uninominali; il 63 per cento è invece assegnato in modo proporzionale tra le coalizioni sulla base di collegi plurinominali, in cui vengono presentate liste bloccate di candidati, su scala nazionale alla Camera e regionale al Senato.

Dopo l’entrata in vigore della riforma costituzionale che riduce il numero dei parlamentari, sono stati approvati i decreti per i nuovi collegi che ripartiscono il numero ridotto di eletti. I deputati eletti nei collegi plurinominali con il proporzionale passano da 386 a 245, mentre quelli eletti con il maggioritario da 232 a 147. Da 12 a 8 i parlamentari eletti all’estero. Al Senato, invece, si scende da 193 a 122 senatori eletti nei plurinominali e da 116 a 74 negli uninominali. Da 6 a 4 i senatori scelti dagli italiani all’estero. A grandi linee si è cercato di garantire ovunque un rapporto di 150 mila abitati per seggio alla Camera e di 300 mila per seggio al Senato. Sono già sorte proteste, tuttavia, sia per la suddivisione dei collegi interni alle sei aree metropolitane di Torino, Milano, Genova, Roma, Napoli e Palermo.

Le coalizioni

Andare a votare con la legge Rosato significa anche dover ragionare in ottica di coalizione. Nel 2018 le coalizioni erano tre: centrodestra; Movimento cinque stelle e Partito democratico con le forze di centrosinistra. L’alleanza di coalizione è incentivata, oltre che per il superamento delle soglie di sbarramento, anche perché un singolo partito che si presenti da solo nei collegi uninominali di tipo maggioritario rischia di non eleggere nessun rappresentante.

Dunque, se si andasse a votare in primavera 2021, si ripresenterebbe il tema delle alleanze e sarebbe il momento della verità per l’attuale alleanza di governo. Il Pd e il Movimento 5 Stelle dovrebbero decidere se certificare ufficialmente l’esistenza di una alleanza strutturale e quindi di coalizione, che dovrebbe indicare un unico leader. Un passo non da poco per entrambi i partiti: nel Pd la fronda dei sostenitori dell’alleanza è forte soprattutto tra gli eletti, mentre la base si è mostrata più scettica. Anche i Cinque stelle continuano ad essere divisi, soprattutto ora in cui manca una leadership definita che si assuma politicamente l’onere di tracciare la linea. Infine, proprio il meccanismo della coalizione rischia di far uscire dai giochi Italia viva. L’unica ipotesi sarebbe quella di un’alleanza con il Pd, ma ad oggi è difficile immaginare che Nicola Zingaretti sia disposto a sedersi al tavolo con Renzi per ripartire i seggi elettorali. Per il Pd, infatti, un ritorno alle urne avrebbe un incentivo in più: marginalizzare Italia viva, che correndo da sola e secondo i sondaggi attuali si ritroverebbe a eleggere non più di una manciata di parlamentari contro i 48 attuali (frutto della scissione dai dem).

I sondaggi

La vera incognita di un ritorno alle urne, tuttavia, riguarda soprattutto gli esiti. La pandemia, infatti, potrebbe aver modificato in modo sostanziale l'orientamento degli elettori e nessuno ora è in grado di prevedere in che direzione. L’unica certezza è che un nuovo parlamento avrebbe dei connotati completamente diversi rispetto agli attuali, soprattutto dal punto di vista dei rapporti di forza. La Supermedia dei sondaggi politici curata da YouTrend per Agi, con riferimento al 17 dicembre, per il centrodestra mostra una Lega sempre prima forza politica ma in calo al 23,7 per cento; Fratelli d’Italia sempre in crescita al 16,1 per cento e Forza Italia al 7 per cento. Nel centrosinistra, il Pd è in crescita arriva al 20,6 per cento, la Sinistra è al 3,3 per cento, seguita da Azione e Italia Viva, entrambe al 3,2 per cento. Infine, il Movimento scende al 14, 8 per cento. In sintesi, dunque, in una eventuale ipotesi di voto si tornerebbe a un sistema bipolare: da una parte il centrodestra al 48 per cento; dall’altra i partiti del governo Conte bis al 41 per cento. Ma soli 6 punti di distacco e l’incognita della pandemia renderebbero il risultato quantomai imprevedibile.

 

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