Uno «tesse il suo filo» con i partiti di centrosinistra ma anche con le realtà della cittadinanza organizzata. L’altro svolge un lavoro scientifico di ridisegno del movimento fatto di incontri riservatissimi con «portatori di idee». Lo aiuta uno staff di fidati collaboratori che compilano dossier e preparano i confronti.

Sfida parallela

Il lavoro di Enrico Letta e di Giuseppe Conte in questi giorni è quasi perfettamente parallelo. I due lo sanno: Letta ha definito il loro primo appuntamento, il 24 marzo a Roma alla sede di Arel, «un primo faccia a faccia tra due ex che si sono entrambi buttati, quasi in contemporanea, in una nuova affascinante avventura». Quella del «nuovo Pd» per lui, quella della rifondazione di M5s per l’avvocato. Letta ha ormai quasi tutto fissato in agenda e un progetto chiaro in testa. Conte ha una scaletta fitta, ma deve risolvere il problema-Rousseau e al collega ex premier ha spiegato di «non essere ancora pronto»: stasera terrà una prima assemblea con i suoi, ma il progetto del rilancio sarà completato, salvo imprevisti, entro la prima decina di aprile.

Letta non ha alcuna intenzione di cambiare il nome al suo partito perché, spiega ai suoi, «i segretari passano» e nel Pd passano anche in fretta, ma «il partito resta». Conte è tentato dal cambio di nome, convinto che gli consentirebbe di arruolare nuove personalità.

Entrambi cuciono la tela della nuova alleanza, per i media è il «nuovo Ulivo» ma non è espressione bollinata dal Nazareno. Letta da una parte, Conte dall’altra. Un’«alleanza competitiva», come si diceva ai tempi dell’Ulivo. Chi sarà davvero la «sinistra» è la partita ancora tutta aperta. Conte vuole rappresentare l’ambientalismo e il meglio delle competenze sulla transizione ecologica. Art.1, prima dell’arrivo di Letta al Pd, era tentata dall’idea di un Conte «federatore». Oggi torna a pendere verso il Pd, si è capito durante l’incontro con Roberto Speranza del 22 marzo. La nuova alleanza è, nelle intenzioni, centrosinistra più M5s, più realtà della società organizzata, sin qui tenuta in panchina dal Pd di Nicola Zingaretti, il quale ha vinto le elezioni con Piazza Grande, movimento interno-esterno al partito che però, al suo ingresso ufficiale al Nazareno, ha smobilitato.

Letta sente di aver già riportato il Pd a essere il pivot dell’azione del governo Draghi. Ha fatto incontri su vari livelli: quello istituzionale, con i presidenti delle Camere Fico e Casellati e ieri con il presidente della Repubblica Mattarella. Quello politico, con i leader della destra Tajani e Meloni (manca Matteo Salvini, non in programma) in cui si è discusso delle riforme possibili (sfiducia costruttiva, regolamenti parlamentari). Poi con le parti sociali, dai sindacati al capo di Confindustria Bonomi, giusto ieri. E con gli alleati. Nell’ordine, ha parlato con Carlo Calenda, Speranza e Conte. Stamattina vedrà Nicola Fratoianni di Sinistra italiana e i due portavoce dei Verdi Angelo Bonelli e Elena Grandi. Non c’è in agenda il nome di Matteo Renzi. Ci sono invece quelle che definisce la «associazioni attive nel territorio» dalle quali «cogliere i suggerimenti di chi si impegna».

Letta vuole «aprire» il Pd a chi negli ultimi anni ha avuto difficoltà a interagire con i partiti:  per cogliere i suggerimenti di chi si impegna, anche a modo proprio», nella convinzione che l’errore storico dei Cinque stelle sia stato perdere l’ispirazione originale dei meet up a loro volta ispirati ai comitati territoriali. Letta è a capo di un partito che vuole «aprire», parole chiave infatti sono, spiegano al Nazareno, «apertura e partecipazione». Per questo ha iniziato anche gli incontri con gli «esterni». il 27 marzo ha incontrato le sardine. E il 29 marzo Demos, «network di democrazia solidale», con Mario Giro, Roberta Gaeta, Paolo Ciani e Pietro Bartolo, l’europarlamentare già medico di Lampedusa. Letta vuole aprire «un’opportunità di condivisione strutturale» in linea con il partito disegnato nel discorso di investitura all’assemblea dem e che «culminerà nell’organizzazione delle Agorà democratiche nella seconda parte dell’anno». Come saranno organizzate ancora non si sa: si aspettano le risposte dei circoli al famoso punto 21 del Vademecum. Risposte che stanno arrivando al Nazareno in queste ore, e in quantità che testimonia una partecipazione confortante degli iscritti.

L’ora dell’Agorà

Agorà è un termine che piace molto a chi in epoca zingarettiana ha combattuto per l’alleanza con M5s scatenando la contraerea dei «riformisti» che adesso invece evitano di contestare il segretario. Una legge maggioritaria del resto, e non più proporzionale – che è la proposta del Pd di Letta anche se non ancora discussa e varata dal partito – costringe anche i più riottosi a rassegnarsi a quella che Dario Franceschini definisce «un’alleanza ineluttabile». Quell’area ha un riferimento in Goffredo Bettini, autore nel 2018 di un libro intitolato proprio Agorà. Chiusa l’era Zingaretti, Bettini continua a sentire spesso Conte e continua il suo lavoro di pontiere. E così per il 14 aprile ha organizzato un confronto proprio sul tema delle agorà con le voci del campo progressista che però hanno sempre guardato ai grillini per un’alleanza stabile: fra i partecipanti Massimiliano Smeriglio, europarlamentare ed ex coordinatore di Piazza Grande, Monica Cirinnà, Enrico Gasbarra, Gianni Cuperlo, Nadia Urbinati, Andrea Riccardi, Elly Schlein. E l’ex ministro Gaetano Manfredi, che Conte reputa un possibile candidato di coalizione a Napoli (ma si parla anche di Roberto Fico). All’incontro del 14 sarà presentato un «manifesto». Sarà il primo di un appuntamento in due tempi: il 29 aprile, di fatto è in programma un altro incontro ravvicinato fra Pd e M5s. Con altri, ci saranno i rispettivi leader, Letta e Conte. Il cui lavoro parallelo tornerà a incrociarsi.

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