Il tracciamento è ormai perso, recuperarlo sarà tutt’altro che facile. Per lo più mancano gli strumenti per fronteggiare una nuova impennata dei contagi. É vero che per ora il governo non mette in conto un allentamento delle restrizioni anti-pandemia, soprattutto in vista delle feste, ma il sistema di tracciamento delle Asl potrebbe incontrare gli stessi limiti dell’autunno in caso di riapertura.

L’altra questione da risolvere è quella del call center Immuni. L’indicazione per realizzarla era arrivata col primo decreto Ristori a fine ottobre e da lì era partita la macchina organizzativa. Ad oggi, dal ministero della Salute confermano che si sta lavorando alla fase istruttoria per raggiungere l’implementazione nelle prossime settimane, ma non c’è ancora una data.

I tracciatori

«L’efficacia del tracciamento dipende da quante persone si mettono in campo. Ora che le curve stanno calando grazie alle chiusure il tracciamento potrà riprendere, ma appena ci sarà una nuova impennata perderemo di nuovo il filo», dice Ester Pasetti, segretaria regionale dell’Emilia-Romagna del sindacato dei medici Anaao-Assomed. Ma mancano le persone, o spesso hanno una disponibilità limitata. «Qui in Emilia-Romagna lavoriamo con gli studenti di infermieristica dell’ultimo anno, o con gli specializzandi in medicina generale, ma spesso possono darci meno ore di quante vorremmo, perché hanno anche bisogno di studiare per laurearsi».

Un gran numero di assunzioni era arrivato a fine ottobre con un bando della Protezione civile. In realtà, il plafond di posti finanziati dallo stato centrale non è stato esaurito da tutte le Regioni: secondo i dati più recenti sono entrati in servizio 1.107 medici e infermieri su 1.500 e 309 amministrativi su 500. Altre realtà, invece, hanno attinto alle 49mila candidature per inserire in organico addirittura più persone di quante ne prevedesse il piano steso da Roma, pagate stavolta di tasca propria: la Toscana è lanciata con 466 ulteriori assunti, il Friuli Venezia Giulia ne ha chiamati 27 in più, l’Abruzzo sei, l’Umbria 24 e l’Emilia-Romagna quattro. Insomma, solo alcuni si stanno attrezzando per fronteggiare la nuova ondata che, quando il governo deciderà di allentare i vincoli anti Covid-19 prima del vaccino, arriverà.

Se si guarda al monitoraggio settimanale della pandemia prodotto dall’Istituto superiore di Sanità, però, l’indicatore che misura «numero, tipologia di figure professionali e tempo/persona dedicate in ciascun servizio territoriale al contact-tracing» non provoca allerta in nessuna Regione. Tutto in regola, insomma, secondo l’Iss, che però sta ancora valutando secondo i criteri del regime di “contenimento”, che prevede che l’incidenza dei casi rimanga sotto i 50 ogni 100mila abitanti in sette giorni a livello nazionale. Oltre questo livello, l’Iss ammette che «tali risorse non sono più sufficienti» a controllare l’epidemia.

Il rapporto Asl-call center

Per quanto riguarda il call center Immuni, prima che entri in gioco Invitalia, dove il Commissario straordinario Domenico Arcuri prenderà in mano anche questo dossier, restano da definire ancora parecchi dettagli. Primo fra tutti il rapporto tra call center e Asl regionali. Un elemento delicatissimo, perché il rischio è che, siccome ogni Asl lavora in base alle proprie regole e possibilità, un call center centralizzato possa dare soltanto indicazioni sommarie e rimandare a informazioni regionali più dettagliate. «Servirebbe un protocollo unico condiviso», dice Ester Pasetti. «Per come siamo messi ora, creare un call center unico dilaterebbe i tempi e basta».

È d’accordo anche Lelio Borghese, presidente di Assocontact, l’associazione di categoria dei call center che aveva offerto il suo aiuto al governo per la gestione del call center. «Ricadendo i temi sanitari nell’ambito delle autonomie regionali, troviamo più efficace, lineare e veloce il servizio offerto da un contact center che insista nella stessa regione dove vive il cittadino positivo». Il rischio è anche che il call center rimanga una «scatola magica non collegata con il resto», dice Giovanni Salmeri, professore associato della facoltà di economia dell’Università di Tor Vergata. Insomma, bisogna assicurarsi che il rapporto con i tasselli della pubblica amministrazione con cui il call center dovrà interagire sia agile ed efficace, altrimenti rimarrà uno strumento isolato di cui sarà impossibile sfruttare le potenzialità.

Immuni

Ad oggi il materiale prodotto da ogni Asl risente delle capacità e degli strumenti che ha a disposizione. Queste peculiarità si riflettono in particolare nell’interazione delle Asl con l’applicazione Immuni: nel meccanismo di attivazione l’azienda sanitaria gioca un ruolo centrale. Contestualmente alla comunicazione dell’esito positivo del tampone, infatti, l’operatore chiede all’utente il codice univoco (e anonimo) generato dall’app pigiando sul pulsante «segnala positività».

Inserendo questo codice nel sistema, l’app del positivo viene “attivata” e partono le notifiche verso i cellulari di chi è stato nelle sue vicinanze di recente. Insomma, la procedura è legata a doppio filo con l’accuratezza e la velocità degli operatori Asl, oltre che con il tempo che passa per la comunicazione dell’esito. Spostare questa competenza al call center centralizzato sgraverebbe di un peso importante le aziende sanitarie, ma c’è un problema per ora non risolto: la tutela dei dati personali dei positivi, che usciranno dall’Asl per finire in mano a un ente terzo, sempre legato a Invitalia e quindi al governo, ma comunque un organismo esterno.

Prima della partenza del call center dovrà essere dunque chiamato in causa il Garante per la privacy. Per arrivare all’attivazione passerà ancora tempo, ma non è detto che anche con il call center il tracciamento italiano sia davvero pronto fronteggiare una terza ondata.

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