Il metano ti dà una mano diceva uno spot Eni-Snam degli anni Ottanta. Con la scusa di spegnere le centrali a carbone, il governo ha deciso di velocizzare la costruzione di opere legate al metano e al petrolio, mentre perde tempo sul Piano per la transizione ecologica. Il 31 maggio è stata una data cruciale per due motivi: il Comitato interministeriale per la transizione ecologica (Cite) doveva presentare l’omonimo piano per abbattere le emissioni e migliorare la qualità dell'aria ma non lo ha fatto. Dall’altra parte è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto Semplificazioni che invece darà un’accelerazione alle opere energetiche.

La settimana scorsa il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, intervenendo alla presentazione del rapporto Gse, il Gestore dei servizi energetici che incentiva le rinnovabili, aveva anticipato che qualcosa non andava: «Siamo un po’ in ritardo».

Il Cite

Il decreto che ha istituito il Mite il primo marzo scorso ha dato vita anche al Cite, voluto fortemente dal presidente del Consiglio Mario Draghi. Entro tre mesi, quindi entro il 31 maggio, avrebbe dovuto varare il Piano per la transizione ecologica. La prima riunione è stata il 28 maggio, lo stesso giorno dell’approvazione del decreto Semplificazioni.

A darne notizia il presidente del consiglio stesso con una brevissima nota. L’incontro è stato presieduto da Draghi e hanno partecipato i ministri della Transizione, dell’Economia, Daniele Franco, dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile, Enrico Giovannini, e del Lavoro e delle politiche sociali, Andrea Orlando.

Da un successivo comunicato di Cingolani si apprende che nonostante il dispiegamento di forze non si è deciso niente: «Il Cite ha iniziato i suoi lavori identificando le azioni più urgenti che dovranno essere sviluppate nei prossimi mesi per garantire la partenza del Pnrr». Adesso bisognerà adottare un regolamento interno di funzionamento e costituire un Comitato tecnico di supporto, composto da rappresentanti della Presidenza e di ciascuno dei ministri che compongono il Cite. Praticamente il grado zero: il lavoro per la transizione ecologica non è nemmeno cominciato.

Le centrali a carbone

Uno dei problemi più urgenti che ha spinto a intervenire nel decreto, fanno sapere dal ministero della Transizione a Domani, è lo spegnimento delle centrali a carbone. L’Italia, prima di decidere di dotarsi di un altro piano, aveva varato l’anno scorso il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec) che prevede obiettivi in linea con i target europei di decarbonizzazione e che adesso dovranno essere aggiornati, visto che l’Unione europea sta per fissare la neutralità climatica al 2050. Nel Pniec veniva indicata al 2025 la data di spegnimento delle centrali, una data che l’Italia non ha reso vincolante.

Secondo il gestore della rete di trasmissione, Terna, questi impianti infatti, in tutto otto, garantiscono la stabilità del sistema e spegnerli senza un’alternativa significherebbe mettere a rischio la rete elettrica nazionale. Per questo è stato varato il “capacity market”, aste che remunerano la capacità sostitutiva, cioè soluzioni alternative.

Come spiegato da uno studio Carbon Tracker, hanno partecipato impianti che ancora devono essere realizzati, come la centrale a gas di La Spezia che Enel vorrebbe costruire al posto della centrale a carbone esistente, e che rischia di perdere gli incentivi qualora non venisse autorizzata.

Le semplificazioni

E qui entra in gioco il decreto Semplificazioni. Oltre a prevedere di velocizzare la realizzazione delle infrastrutture previste dal Pnrr, sono state incluse le opere necessarie al Pniec. Per queste ci sarà una Valutazione di impatto ambientale (Via) con tempi ridotti e una commissione ad hoc di quaranta esperti. Qualora non arrivassero in tempo, il governo ha il potere di nominare una figura sostitutiva, di fatto un commissario.

Per maggiore chiarezza, il decreto indica una lista delle tipologie che potranno usufruirne, contenuta nell’Allegato I-bis, rimasto un mistero fino all’ultimo. A differenza delle altre parti del documento, era circolato solo in una bozza del 17 maggio, per poi scomparire e tornare solo in Gazzetta ufficiale.

Come era prevedibile, sono stati ammessi alla Via rapida gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili. Di pari passo però il governo ha deciso di includere i nuovi impianti termoelettrici alimentati attraverso gas naturale (come quello Enel); infrastrutture per il trasporto via nave, lo stoccaggio e la rigassificazione del gas naturale liquido (Gnl). E poi impianti per il rifornimento di Gnl e ammodernamento della rete gas, infrastrutture di stoccaggio trasporto e distribuzione di gas petrolio liquefatto (Gpl), per la cattura e lo stoccaggio della CO2 (come potrebbe essere ad esempio quello che Eni ha in programma a Ravenna) e anche impianti di produzione di energia da rifiuti, ovvero termovalorizzatori.

Riuscire a installare la necessaria potenza rinnovabile per sostituire il carbone non è una sfida facile. Infatti pannelli solari e impianti eolici (da abbinare alle batterie per garantire la programmabilità) spesso si scontrano con i vincoli paesaggistici: «Se non ho il permit per mettere a terra ogni anno i giga di rinnovabili che servono, e voglio chiudere centrali a carbone e fossili più inquinanti, come la faccio la transizione?», commentano dal Mite. Cingolani ha detto ieri a un incontro organizzato da PwC Italia: «Il primo salto carbone-gas già ci dà una mano».

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