Trump vuole «allontanare l’Italia» dall’Ue. Armi per Kiev, Meloni azzoppata dalla Lega

Nel gioco di equilibri geopolitici, l’Italia è sempre più in bilico: sospesa tra l’essere l’anello debole dell’Unione europea e l’utile leva degli Stati Uniti. È quanto sta scritto in una versione «estesa» della Strategia di sicurezza nazionale pubblicata dalla Casa Bianca nei giorni scorsi. Una versione resa nota dal sito americano Defense One, testata tecnica specializzata nel settore della difesa e considerata un media attendibile. I virgolettati riportati sono eloquenti: gli Stati Uniti dovrebbero «lavorare di più con Austria, Ungheria, Italia e Polonia, con l’obiettivo di allontanarli dall’Unione europea». Come? «Supportando partiti, movimenti, intellettuali e figure culturali che portano avanti il sovranismo e la conservazione oppure il ripristino del modello di vita europeo tradizionale, ma rimanendo pro America». Una smentita dell’amministrazione Usa c’è, ma suona un po’ incerta: «Non esistono versioni alternative», ha commentato la portavoce Anna Kelly, «qualsiasi altra versione è stata fatta trapelare da persone lontane dal presidente». Tuttavia, anche solo l’ipotesi che l’Italia possa essere tra le pedine con cui scorporare l’Ue è l’ennesima avvisaglia per la premier Meloni di come il tempo dell’equidistanza tra le due sponde dell’Atlantico stia per scadere. Con il detonatore molto pericoloso del conflitto in Ucraina. Il mondo senza diritti disegnato dagli Stati immorali d’America La premier italiana sta proseguendo con la solita prudenza: è dialogante e anzi a parole sempre al fianco di Volodymyr Zelensky, ha partecipato però in videochiamata al vertice di Londra dei Volenterosi che poco piacciono agli Usa e ha incontrato poi il presidente a Roma in forma autonoma. Nei fatti, però, dentro al suo governo si sta consumando la tensione tra i desiderata di Trump e l’interesse ucraino in un momento di particolare difficoltà militare. Dopo averlo fatto saltare nell’ultimo Consiglio dei ministri, la Lega ha fatto sapere di non volersi fare mettere fretta sul decreto Armi a Kiev. «Si farà», hanno continuato a ripetere sia da FdI che da Forza Italia, il punto però rimane quando. Il partito di Matteo Salvini, infatti, si è sempre collocato in posizione scettica sull’invio di armi e ha da subito sposato la linea oltranzista di Trump nella ricerca di un accordo di pace con la Russia, considerando controproducenti le intromissioni europee e dei Volenterosi nella trattativa. Così ora il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo ha spiegato le ragioni del no al nuovo decreto, con l’ultimo in scadenza il 31 dicembre: «Attendiamo l’evoluzione delle trattative in corso sul piano di pace Usa, così da poter definire un provvedimento pienamente coerente con il percorso diplomatico». Eppure un termine fissato per le trattative non c’è, e la situazione rimane precaria, tanto più che il decreto Armi non dispone l’invio di specifiche attrezzature, ma è solo lo strumento giuridico che permette di farlo quando sarà necessario. Il vero obiettivo leghista, allora, appare essere più di politica interna che internazionale: un modo per frenare le mosse di Meloni, oltre che di attestarsi come il partito italiano più in linea con l’amministrazione Trump. Il papa riceve Zelensky per la terza volta. Mediazione per liberare bambini e prigionieri L’opposizione La guerra in Ucraina, però, divide anche l’opposizione. Mercoledì 10 è stato il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte a scegliere una linea autonoma. «Il governo italiano insieme ai governi europei hanno fallito puntando sulla scommessa militare della vittoria dell'Ucraina sulla Russia» a «colpi di invii di armi e di spese militari» e ora «l'Europa è completamente disorientata», quindi «lasciamo che a condurre il negoziato siano gli Stati Uniti». In altre parole, una posizione con molti punti di contatto con quella della Lega, in una riedizione dell’alleanza giallo-verde, e piuttosto distante da quella del Partito democratico, che ha sempre votato per il reinvio di armi all’Ucraina mentre oggi insiste affinché l’Italia prenda posizione filo-europea nella gestione della trattativa. Eppure anche tra i dem la discussione sulle armi si sta accendendo, tanto da diventare questione identitaria – e divisiva – tra le correnti. La segretaria Elly Schlein ha sempre mantenuto fermo l’appoggio a Kiev, si è mostrata scettica invece sulla questione del riarmo, escludendo che le risorse europee possano servire a finanziare spese militari dei singoli paesi e parlando invece di difesa comune. La corrente riformista del Pd, invece, ha progressivamente sposato la linea – dettata da uno dei big come Lorenzo Guerini – del fatto che il riarmo europeo sia «ineludibile» e anzi vada fatto al più presto. Non è ancora una rottura, ma rischia di essere uno dei punti salienti su cui il partito si confronterà nell’assemblea del 14 dicembre, cruciale nel cammino verso la leadership del centrosinistra della segretaria. Su questo ribollire di posizioni, veglia il Quirinale. Nei suoi interventi pubblici, Sergio Mattarella ha sempre tenuto ferma la linea della difesa del diritto internazionale con l’esplicito sostegno all’Ucraina. Parallelamente, ha ribadito in quest’ottica la rilevanza di un’Europa unita, che riprenda lo spirito pacifista e non si perda in derive nazionaliste e suprematiste. Una linea, questa, su cui oggi incombe la strategia di Trump. «Leader europei deboli»: Trump infierisce sull’Ue, che si lascia bullizzare