Nel giorno in cui gli studenti delle superiori dovevano tornare a scuola, arriva la certezza che la didattica a distanza non piace più a nessuno. Nemmeno alla ministra Lucia Azzolina, che stamattina ha dichiarato: «La Dad non può funzionare, sono preoccupata». Un appello che si è unito alle voci degli studenti, in protesta in tutto il paese e in particolare di fronte al ministero dell’Istruzione a viale Trastevere a Roma. A parole, tutti vorrebbero un rientro tra i bianchi il prima possibile, ma nei fatti sembra un traguardo sempre più lontano, con i ragazzi che continuano ad avere rapporti soltanto con uno schermo per un tempo sempre più lungo. Anche il leader di Italia viva Matteo Renzi è tornato sul punto. «Per me le scuole, lo dico da aprile, devono essere la prima cosa da riaprire. Penso che l'unico modo sia tamponare costantemente i ragazzi e vaccinare innanzitutto i professori».

Il paradosso

Eppure, a rientrare sono stati appena 250mila studenti in tre regioni, Toscana, Abruzzo e Valle d’Aosta (oltre al Trentino, dove gli alunni delle superiori sono tornati in classe già il 7). Dovevano essere 2,5 milioni, ma tanti presidenti di regione hanno rinviato l’appuntamento: il risultato sono zone gialle in cui ai ragazzi è permesso pressoché qualsiasi attività ma le scuole restano chiuse. «Tutto è aperto tranne la scuola superiore e questo creerà profonde cicatrici, i ragazzi hanno bisogno di sfogare la loro socialità», ha detto ancora Azzolina, che aveva spinto per far rientrare tutti gli studenti lo stesso giorno accordandosi con le Regioni ancora prima di Natale, salvo vedere poi a poco poco le defezioni dei presidenti e la presenza in classe scendere dal 75 per cento al solo 50.

Ad oggi, Piemonte, Lazio, Liguria, Molise, Puglia riapriranno il 18 gennaio le superiori, mentre il 25 gennaio sarà la volta dei ragazzi in Emilia-Romagna, Campania, Lombardia e Umbria. Il 1 febbraio rientreranno le superiori in Calabria, Basilicata, Sardegna, Sicilia, Veneto, Friuli Venezia Giulia e nelle Marche. La polemica ha trovato il suo palcoscenico nella Conferenza stato-regioni di ieri, dove i governatori hanno ribadito la volontà di riaprire le scuole quanto prima, compatibilmente con i limiti posti dalla risalita della curva pandemica. «Anche i membri del governo che intervengono senza offrire soluzioni non si rendono conto che in primo luogo danneggiano il governo di cui fanno parte. Ricordo che i presidenti di regione hanno, non il diritto, ma il dovere qualora la curva epidemiologica varia, di assumere decisioni a tutela della salute e della vita», ha detto il leader del Pd e presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti. Il riferimento è chiaro.

Le soluzioni

«Siamo chiaramente preoccupati che sia un rientro momentaneo. Questa situazione sta accentuando i divari tra le regioni», dice Pasquale Cuomo, segretario generale Flc Cgil Toscana. Infatti, il quadro è nettamente cambiato rispetto al primo lockdown, quando le chiusure erano nazionali: oggi, la decisione se tenere le scuole aperte o chiuse è di fatto in mano alle regioni, e c’è chi propone di andare oltre, ragionando non più a livello regionale ma addirittura comunale, per permettere a chi si trova in una situazione di contagi migliore rispetto alla media della propria regione di rimandare i ragazzi di nuovo in classe. Intanto va considerato però che le regioni, perlomeno quelle che hanno deciso di riaprire le scuole, hanno affrontato il problema dei trasporti, che a settembre era sembrato il nodo cruciale della ripresa delle lezioni. La Toscana ha aumentato la flotta del trasporto pubblico di 329 autobus, garantendo 900 corse aggiuntive con un’occupazione del 50 per cento gestita attraverso l’impiego di tutor e steward. Anche in Abruzzo le corse sono aumentate: 400 in più grazie a cento mezzi aggiuntivi.

In Toscana è anche partito un progetto regionale spontaneo per la campagna di screening tramite test antigenici rapidi gratuiti destinato alla popolazione scolastica che prevede la replicazione periodica del test su un campione di studenti dei 150 istituti superiori coinvolti. I test nelle scuole erano previsti anche a inizio anno scolastico, ma ad oggi non c’è nessun obbligo previsto da Roma per il monitoraggio, quindi tutto è rimesso all’organizzazione autonoma delle regioni. Con il rischio che si perda il controllo, «com’è successo tra ottobre e novembre, quando tante catene di contagio non sono state ricostruite», dice Maria Lucia Manca, rappresentante del sindacato Gilda di Torino. Eppure, controllo e protezione del personale e degli allievi potrebbe facilitare la gestione tempestiva di eventuali infezioni: meglio ancora se i docenti fossero inseriti nelle categorie a rischio, privilegiate nel piano di vaccinazione. Una richiesta avanzata dai sindacati degli insegnanti, che vedono in questa strategia la possibilità di recuperare i danni provocati da un anno di insegnamento a singhiozzo, ma per ora soltanto raccolta dalla maggioranza, ma non implementata.

 

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