Le motivazioni del maxi processo su Ubi Banca sembrano non interessare a nessuno al di fuori della provincia di Bergamo, stando alla copertura mediatica praticamente inesistente che hanno avuto.

Ubi Banca non c’è più, ridimensionata dopo la scalata di Carlo Messina a ramo di Intesa San Paolo, Banca d’Italia in quel processo ha rifiutato di costituirsi parte civile e secondo i giudici lo ha fatto perché le informazioni che aveva come autorità preposta alla stabilità del sistema finanziario erano sufficienti. Il decano dei banchieri italiani, Giovanni Bazoli, è stato assolto da ogni imputazione e con lui molti altri. Tutto è bene quel che finisce bene.

Eppure si tratta di un maxi processo ai vertici di quella che è stata la quinta banca italiana e di una sentenza che in un paese normale avrebbe attirato molte più attenzioni. Prima di tutto perché l’ex l’amministratore delegato, Victor Massiah, è stato riconosciuto colpevole del reato di tentata influenza illecita sull’assemblea, a capo di una raccolta di deleghe per il voto in assemblea degli azionisti prive del delegato «in violazione palese delle regole normative» e condotta «in modo sistematico e organizzato».

Una raccolta a favore della lista del consiglio di amministrazione contro quella degli altri soci. A salvare dalla condanna il banchiere, che al momento ambisce a una ricollocazione e guarda a gruppi come Nomura, è intervenuta la prescrizione e la pandemia.

L’emergenza sanitaria ha dapprima contribuito al rinvio delle udienze, sotto l’ombrello di un decreto che prevedeva la sospensione dei termini di prescrizione, e poi una sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato illegittima quella sospensione. Risultato: nell’ultima fase del processo, i tempi sono saltati e a giugno del 2021, il reato di Massiah è andato prescritto.

L’altro protagonista

In più c’è un altro protagonista di primo rango della finanza italiana di cui parlano quelle motivazioni ed è il notaio Pier Gaetano Marchetti, gran tessitore, in punta di diritto, degli equilibri e dei rapporti di forza economici del paese. Giurista a cui tutti si rivolgono, dalle stesse autorità di vigilanza, i fondatori di Ubi Banca fino, giusto l’altro ieri, alle assicurazioni Generali alla ricerca di una nuova formula al riparo dalle obiezioni per la nomina della lista per il consiglio di amministrazione.

Per Marchetti la procura aveva ipotizzato la falsa testimonianza, una ipotesi che seppure non sia stata sposata dal collegio dei giudici che hanno scritto la sentenza finale, può portare sviluppi. I giudici, infatti, per Marchetti hanno disposto la trasmissione degli atti nuovamente alla procura di Bergamo.

Il pubblico ministero, si legge nelle motivazioni della sentenza «non ha inteso contestare singole risposte dal contenuto falso, ma correttamente ha mosso agli imputati un rimprovero complessivo, consistito nell’avere ostacolato l’autorità procedente negando l’esistenza di interazioni specifiche tra le due associazioni..., strumentali all’indicazione delle candidature per le cariche di Ubi banca o di società del gruppo».

Secondo i giudici non si può dire che siano state fatte dichiarazioni mendaci per ostacolare la vigilanza, è invece il caso di continuare a indagare e raccogliere evidenze sull’eventuale ostacolo. Almeno un fascicolo a Bergamo, dunque, resta aperto

 

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