In una piazza si vede innanzitutto chi c’è e ieri nella capitale, nello sterminato corteo «Europe for peace» – spesso si trovava scritto anche in ucraino e russo – c’erano soprattutto tanti ragazzi e ragazze, da scuole, associazioni, reti, centri sociali, un corteo nel corteo, se quello principale ha in testa la Cgil con un enorme arcobaleno «Solo la pace» loro chiedono di «disertare la guerra», e non si sentono per niente sicuri sotto l’ombrello atlantico.

Sono ragazzi «né né», «né con Putin né con la Nato». A piazza San Giovanni arrivano in 20mila per questura, in 50mila per gli organizzatori, la Rete italiana pace e disarmo, più di duecento sigle, dall’Anpi all’Arci, alle Acli e alle sigle cattoliche. Duecento sfumature di pacifismo e disarmismo, una sola richiesta di «cessate il fuoco» all’indirizzo del presidente russo.

Ma da Roma si chiede soprattutto di non partecipare alla corsa al riarmo. È il punto pacificamente unitario di questa piazza: «La guerra non si ferma con altre guerre e non si ferma inviando altre armi al popolo ucraino, si ferma inviando in Ucraina l’Onu. È il momento delle trattative diplomatiche.

È il momento del disarmo», anzi di «abrogare la guerra», dice il segretario Cgil Maurizio Landini dal palco chiamando l’applauso alla memoria di Gino Strada. Secondo Luciana Castellina, storica fondatrice del gruppo del Manifesto, bisogna mandare una carovana di aiuti pacifisti a Kiev.

Le armi sono sbagliate

Solo che a Kiev in quello stesso momento fischia il vento. Cioè fischiano le bombe. Ed è curioso che in un corteo così non si senta cantare «Bella ciao». Del resto sarebbe complicato spiegare, da quaggiù, perché non si debba sostenere la Resistenza ucraina. Anche concretamente. Si cimenta l’Anpi, l’associazione dei partigiani, con il presidente Gianfranco Pagliarulo: «Fermiano questa follia.

La Russia può interpretare l’invio di materiale bellico all’Ucraina come un atto di belligeranza dell’Italia. Siamo sicuri che così aiutiamo il popolo ucraino? O peggioriamo la condizione mettendo in pericolo la stessa sicurezza nazionale?». «Siamo contro l’invio di armi, e siamo la maggioranza degli italiani», cita i sondaggi Fabio Alberti di Un ponte per, mentre al microfono si avvicendano testimonianze da tante altre guerre oggi in corso in giro per il pianeta, chiamate dal disegnatore Mauro Biani, ormai icona dei nostri pacifisti.

Le armi, si spiega, sono sbagliate e inefficaci. «Siamo preoccupati anche per la scelta del governo italiano di spostare 110 milioni dalla cooperazione direttamente al governo ucraino. A cosa serviranno questi soldi?», è la domanda retorica di Giovanni Lattanzi, dell’Associazione Ong italiane.

Sotto il palco il più omaggiato è padre Alex Zanotelli, il più radicale è il trozkista Marco Ferrando, contro la Nato ma non contro l’aiuto concreto ai resistenti. Ci sono pochi politici. C’è un militante avvolto nella bandiera del Pd, ma i dirigenti scarseggiano: il vicesegretario Peppe Provenzano, Gianni Cuperlo, Marco Furfaro, il segretario di Roma Andrea Casu. Arrivano direttamente nell’area sotto palco, poi però decidono di buttarsi fra la folla.

È un ramoscello di ulivo verso la piazza, ma non sono dissidenti, anzi teorizzano l’invio degli aiuti militari perché, riflette Cuperlo, «quasi trent’anni fa in Bosnia non lo facemmo e allora si consumò il primo genocidio sul suolo europeo dopo il secondo conflitto mondiale. Quella macchia pesa sulle nostre coscienze».

Di Leu ci sono Arturo Scotto (Art.1), Loredana De Petris e Stefano Fassina (astenuto), Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana (ha votato no), Angelo Bonelli dei Verdi, l’europarlamentare indipendente Massimiliano Smeriglio, l’assessore della sanità del Lazio Alessio D’Amato. Qualche grillino in ordine sparso, senza neanche la voglia di farsi notare troppo.

Contro la Nato

Ma qui i politici, quelli che ci sono, possono solo ascoltare. Le critiche dure e anche gli sfottò: «Con la mitraglietta in guerra ci vada Enrico Letta», dice un cartello scritto a mano, un altro «Sinistra, di’ qualcosa… a D’Alema», “pizzicato” a fare da mediatore per la vendita di armi di aziende italiane a quei gentiluomini del governo della Colombia (voleva «attivare canali istituzionali», sostiene lui).

Circola una foto del segretario Pd con l’elmetto: «Nato-Letta, capitale e baionetta». C’è qualche ucraino in piazza – la loro manifestazione ci sarà oggi, stesso percorso – e quelli che sono qui sono anche loro contro l’invio delle armi.

Sul voto del parlamento si è consumata una rottura anche fra i sindacati. La Cisl si è ritirata dalla piazza temendo si trasformasse da corteo contro Putin, come in tutte le città del mondo, a corteo contro Draghi. «Non possiamo riconoscerci in parole d’ordine come “neutralità attiva”», ha spiegato il segretario Luigi Sbarra.

Ma per lo più il presidente del consiglio è ignorato dagli slogan. Una cinquantina di ragazzi si mette in un lato di piazza Esquilino e scandisce slogan contro la Nato, e qui sono tutti d’accordo, ma anche «Unione europea imperialismo di merda», in polemica con le parole presuntamente troppo soft dei più.

La polizia gli si incordona davanti, ma per fortuna qualcuno spiega che l’esibizione dei muscoli non serve, anzi è controproducente, e dà l’ordine di lasciarli dire. Nessuno vorrà fare a botte in una manifestazione per la pace. Del resto alla testa del corteo c’è una bandiera grande, altissima, che ne unisce tre: quella dell’Ucraina, quella dell’Italia, e quella blu con le stelle, quella dell’Europa.

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