«È positivo che Salvini abbia condannato l’attacco di Putin». Solo nel pomeriggio, a Roma, sotto l’ambasciata russa dove il Pd ha convocato un sit-in, Enrico Letta attenua la polemica contro Matteo Salvini. C’è una ragione politica, ed è che Salvini pochi minuti prima è finalmente riuscito a pronunciare parole chiare su Putin, costretto anche dal pressing di palazzo Chigi.

E c’è una ragione contingente: il segretario dem non deve esacerbare gli animi della piazza. Cento metri più in là ci sono i cittadini ucraini, alcune centinaia, sono arrabbiati e disperati. La questura ha preferito tenere a distanza di sicurezza quella manifestazione da cui partono slogan durissimi e vengono agitati manifesti inequivocabili: «Putin=Hitler».

Meglio evitare vicinanze pericolose con i funzionari russi. Letta, sul palco, indossa l’elmetto – per fortuna non ci sono reazioni militari Nato in vista -, chiede di creare «un cordone attorno alla Russia» per «strangolarne l’economia», gli scappa persino un lapsus quando parla dell’«invasione sovietica». Ma poi diventa più «unitario» e dà indicazione di trasferire anche la sua manifestazione più in là, accanto ai rappresentanti «del popolo ucraino». Meglio non esacerbare gli animi di chi è già provato dalla lontananza dei propri cari, intrappolati in un paese in guerra.

Il premier Mario Draghi, all’ora di pranzo, parla di «una democrazia colpita nella propria legittima sovranità», esprime «la solidarietà piena e incondizionata del popolo italiano al popolo ucraino e al presidente» e annuncia «sanzioni molto dure contro la Russia». «Un pacchetto di sanzioni senza precedenti», dirà poi il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Anche se circola la notizia che l’Italia, con la Germania, l’Ungheria e Cipro, si oppone all’espulsione della Russia dal sistema delle transazioni internazionali Swift.

La maggioranza, persino il Pd, è con il governo: «È l’arma fine di mondo», viene spiegato, «ma rischiamo di spingere Putin fra le braccia della Cina che sta sviluppando un sistema alternativo basato su criptovaluta».

Ma i toni concordi della maggioranza finiscono qua, per ora. Ieri Draghi ha sentito il presidente Macron e tutti i principali presidenti dell’Ue.

Martedì alle 11 sarà alla camera e alle 12 e 30 al senato per le informative sulla crisi, come ieri mattina gli ha chiesto tutto il parlamento. Ma non si voterà. Si vota invece martedì, quando il premier farà le sue «comunicazioni».

Ed è meglio così, perché c’è più tempo per costruire una mozione comune, forse anche con le opposizioni: si segnala una disponibilità da parte di Giorgia Meloni che ha avuto riflessi più pronti di Salvini ed ha subito parla di «aggressione inaccettabile».

Le distanze della maggioranza nella giornata di ieri si misurano in lungo e largo. Dalla mattina il segretario democratico spinge perché anche l’ala destra del governo condanni il «danno irreparabile» compiuto dall’autocrate russo. Serve, dice Letta nel pomeriggio in mezzo a una folla anche di cittadini ucraini, «l’unità del mondo libero contro la follia di Putin».

La preoccupazione del segretario Pd è che l’Italia non si indebolisca – la reazione di palazzo Chigi all’invasione non è stata immediata, e forse non è un caso – e che le cancellerie europee non si convincano che Draghi ha qualche incertezza perché sostenuto da una forza filoputiniana: la Lega, guidata da un leader che fino a due anni fa mandava foto dalla piazza Rossa in maglietta con la faccia di Putin e «no alle sanzioni»; e un partito inchiodato dal 2017 all’organizzazione nazionalista Russia unita, quello del presidente russo, con tanto di accordo formale di collaborazione politica e «scambio di informazioni» (scadrò in aprile, giurano). C’è anche Forza Italia, governata da Silvio Berlusconi, amico personale di Putin, e che con i suoi si attesta su un «la violenza non è mai una soluzione».

La richiesta

In effetti la Lega, nelle aule, si unisce alle richieste di far venire in aula il premier a riferire sula guerra. Ma il presidente dei senatori Massimiliano Romeo strilla contro le possibili «strumentalizzazioni» degli avversari. E Salvini inizia inizia la drammatica giornata con una generica condanna di «ogni aggressione militare».

Ci mette molte ore prima di esprimere una posizione severa su quello che sta accadendo. A sera, costretto dall’evidenza di un’invasione ingiustificabile agli occhi dell’Occidente, fa girare sui social una foto mentre depone un mazzo di fiori di fronte all’ambasciata ucraina. A Letta in realtà fa buon gioco sottolineare l’inaffidabilità atlantica degli alleati di destra. Ma poi frena, per non mettere in difficoltà Draghi.

D’altro canto le differenze nella maggioranza sono speculari a quelle degli ex giallorossi. Al sit in davanti all’ambasciata russa, convocato in fretta e furia dal Pd, c’è il centro-sinistra in tutte le sue sfumature. Mancano i Cinque stelle. Ci sono i sindacati, ci sono gli esponenti di Italia viva, Carlo Calenda con le bandiere di Azione, c’è Nicola Fratoianni di Sinistra italiana.

Oltre a Letta, parla il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, che apre la città alle manifestazioni di pace: nella notte il Colosseo viene illuminato con i colori dell’Ucraina, si organizza una fiaccolata e poi sabato, grande manifestazione pacifista organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio. Parla anche il presidente della regione Nicola Zingaretti: «A tutti noi è capitato di raccontare di essere la generazione che grazie ai nostri padri ha garantito il più lungo periodo di pace e prosperità all’Europa. Questa stagione che dura dalla fine della seconda guerra mondiale si è conclusa questa notte con i bombardamenti in Ucraina». Nella piazza democratica scatta evidentemente un’amnesia collettiva a proposito del Kosovo e delle bombe sulla Serbia. «Non è il momento delle divisioni interne», aveva spiegato Conte, forse riferendosi agli attacchi di Letta a Salvini, «le forze del parlamento devono unirsi e ragionare su come supportare l’azione del governo in sede europea. Non è il momento di polemiche». Come se il passato gialloverde non fosse del tutto passato.

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