Firmato ieri il decreto legge Milleproroghe, al presidente della Repubblica Sergio Mattarella non resta che fare le ultime limature al discorso di fine anno più importante del suo settennato.

Gli italiani lo ascolteranno a reti unificate alle 20.30 della sera di San Silvestro, i partiti ne soppeseranno ogni virgola per cogliere tra le righe se il capo dello Stato rimane fermo nel proposito di concludere la sua permanenza al Quirinale oppure se qualche spiraglio per il bis può essersi aperta.

Dai pronostici della vigilia, Mattarella è saldo e anche infastidito dal continuo ritornare sulla questione di un secondo mandato che considera al limite della violazione della Costituzione. Per questo, il suo discorso sarà soprattutto un commiato al paese, nel rispetto di una prassi inaugurata nel 1949 dal secondo presidente, Luigi Einaudi che definì il discorso il “messaggio di fine anno agli italiani”.

Proprio perchè rientra tra quelle comunicazioni del presidente governate da regole non scritte e non da previsioni di legge, anche il discorso di fine anno è stato adattato da ogni capo dello stato, sia al proprio carattere che alle contingenze storiche in cui viene pronunciato.

Per questo è così atteso: il presidente in carica si rivolge direttamente agli italiani sui temi che più ritiene essere rilevanti. Può essere un discorso politico, come quello di Francesco Cossiga poco prima delle sue improvvise dimissioni o come l’ultimo di Giorgio Napolitano nel 2014, in cui spiegò le ragioni per cui intendeva dimettersi dopo due anni del secondo mandato. Oppure può essere un’analisi dell’anno appena trascorso, con auspici per il futuro. Oscar Luigi Scalfaro usò per la prima volta nell’anno delle stragi del 1992 la formula “l’Italia risorgerà”, ripetuta tre volte nello stesso discorso e poi utilizzata anche negli anni successivi.

Anche la lunghezza è esclusiva valutazione del presidente. Il primo discorso di Einaudi era lungo meno di quattro frasi per 188 parole e anche i successivi non superarono mai le venti righe. Oscar Luigi Scalfaro, invece, era più prolisso e nel 1997 tenne gli italiani davanti alla televisione per ben tre quarti d’ora.

Lo stile di Mattarella

Mattarella, che proprio di Einaudi è estimatore e spesso lo ha citato nei suoi discorsi, rientra nella categoria dei presidenti meno prolissi. Vale sia per i suoi interventi pubblici che per il messaggio di fine anno, che non è mai durato più di quindici minuti.

Il suo stile è sempre stato asciutto: cifra del suo settennato è stata l’estrema parsimonia delle parole espresse pubblicamente. A differenza di Giorgio Napolitano, che è spesso ricorso ai messaggi alle Camere, Mattarella ha sempre preferito il dialogo privato come arbitro delle parti.

Da cultore dell’unità dello stato, la parola più ricorrente in tutti i suoi passati discorsi è “paese” (insieme a “tutti”), che nel discorso dell’anno scorso viene superata per numero di volte in cui è stata pronunciata solo da “pandemia”. Confrontando i suoi discorsi di fine anno con quelli del suo predecessore Napolitano, si colgono le due diverse prospettive grazie all'analisi delle parole di Openpolis. Molto più politico è stato Napolitano, che ha traghettato il paese dalla crisi economica del 2008 fino a quella politica del 2013, le cui parole più utilizzate sono state “giovani” (la più usata nel 2009, 2010, 2012 e 2013), seguite poi da “parlamento”, “politica” e “crisi”.

Un’innovazione di Napolitano è stata quella di citare nel suo discorso di fine anno singole persone, sia personaggi noti che privati cittadini che gli avevano indirizzato lettere nel corso dell’anno. Famoso rimane il “Franco da Vigevano, agricoltore”, incluso nel discorso presidenziale del 2013, che rievocava lo "spirito di fratellanza" degli anni della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale.

Mattarella, invece, ha sempre tenuto un profilo diverso e più asciutto: vicino ai problemi del paese con l’utilizzo della parola “lavoro”, ma senza usare termini legati alla politica. La sua chiave è sempre stata quella di rassicurare, fissando proprio nei cittadini e non nella politica i suoi esclusivi interlocutori per il messaggio di fine anno.

La postura

Napolitano tenne tutti i suoi discorsi seduto nello studio presidenziale, come anche il suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi.

Quanto a luogo e postura, invece, Mattarella ha modificato la prassi. In sei anni di presidenza, ha cambiato ogni anno ambientazione all’interno del palazzo del Quirinale. Un modo per mostrare al paese il Quirinale, nella logica dell’apertura del palazzo che è stata una delle cifre della presidenza Mattarella, definendolo “il palazzo di tutti” e aprendolo a visite turistiche tutti i giorni.

L’anno scorso, quello dell'emergenza pandemica, il discorso si è teneuto nella Loggia alla Vetrata e Mattarella lo ha pronunciato in piedi e non più seduto, come invece aveva fatto nei cinque anni precedenti. Dietro di lui, come sempre e sì da etichetta presidenziale, le tre bandiere: il tricolore, la bandiera europea e lo stendardo presidenziale, a forma quadrata con la bandiera italiana ottocentesca, con bordatura blu e al centro il simbolo della presidenza della repubblica.

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Come è stato per tutti i presidenti a fine di mandato, quello di quest’anno sarà il discorso più attenzionato di Mattarella e ogni dettaglio verrà soppesato. È il commiato pubblico del presidente, che nei mesi scorsi ha iniziato il suo ultimo passaggio di saluti alle alte cariche, agli ambasciatori e al Papa.

Quello del 31 dicembre, però, nella sua solennità è dal 1949 un momento quasi privato tra il capo dello stato e il paese. E Mattarella, che in questa difficile fase di stallo politico ha visto crescere ulteriormente la fiducia dei cittadini nei suoi confronti, intende utilizzarlo esattamente in questa chiave. Per le questioni e le crisi politiche, ci sarà tempo fino a metà gennaio quando il presidente della Camera, Roberto Fico, fisserà la prima data del voto per eleggere il successore.

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