C’è un commissario straordinario ad hoc contro la siccità, più altri singoli commissari per apposite opere. Ci sono i fondi destinati dal Pnrr e c’è un piano nazionale di 418 interventi da poter realizzare per una spesa di 12 miliardi di euro.

Un elenco di buone intenzioni e a prima vista ci sarebbe tutto per aggredire il problema della scarsità idrica. Quello che manca, o sempre più spesso inizia a mancare, è l’acqua nei rubinetti di molte regioni, soprattutto al Sud.

Con le temperature quasi a 40 gradi per più giorni, molte altre zone d’Italia rischiano di restare a secco. Non si può dire che il governo di Giorgia Meloni abbia dimenticato la siccità. Se ne ricorda quando si tratta di fare propaganda che produce misure spot.

Il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha in mano i cordoni della borsa e promette investimenti con una rivoluzione contro la siccità. Agli atti resta dichiarazione dello stato di emergenza per grave deficit idrico in atto in Sicilia, in Basilicata e in Calabria, che è una diretta conferma della difficoltà della situazione. E viene in mente il lapsus del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida: «Per fortuna la siccità quest’anno ha colpito il Sud». Il Mezzogiorno è ormai a secco.

«Anche le altre regioni del Sud, quali la Puglia, la Campania e la Sardegna stanno affrontando la medesima problematica», ha ricordato il Partito democratico in un’interrogazione alla Camera rivolta al ministro delle politiche per il Mare, Nello Musumeci.

Tuttavia l’ex presidente della regione Sicilia ha pochi strumenti concreti, ha cercato di ribattere alla critiche. Ma è il Mit di Salvini che spesso si muove in ritardo.

Ha infatti ha adottato il Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza nel settore idrico (Pniissi) solo il 27 dicembre scorso. Dietro la sigla si celano oltre 400 cantieri da inaugurare per cercare davvero di tamponare la piaga del 42 per cento delle condutture che perdono acqua.

I tempi si prospettano lunghi. «Stiamo lavorando al primo stralcio attuativo dal valore di un miliardo di euro in vista del via libera da parte della Conferenza unificata», spiegano dal ministero a Domani. Mentre sul fronte Pnrr  sono stati messi a disposizione «due miliardi per le infrastrutture primarie, con 124 interventi finanziati soprattutto nel Mezzogiorno.

Oltre il 90 per cento è in linea con i cronoprogrammi. L’obiettivo è rafforzare almeno 50 sistemi idrici, di cui 35 complessi, entro marzo 2026». La palla viene rinviata in tribuna per l’anno prossimo.

Viene intanto rivendicato come un parziale successo la nomina del commissario straordinario Stefano Orlandini, docente all’università di Modena e Reggio-Emilia, incaricato di completare progetto di fattibilità e progettazione esecutiva entro l’anno della diga di Vetto (in provincia di Reggio). Del resto, è storia nota la grande passione della destra per gli incarichi commissariali.

Non a caso il governo ha affidato il dossier a Nicola Dall’Acqua, commissario per l’emergenza idrica dal maggio 2023 e già rinnovato alla scadenza del mandato (ora resterà in carica, salvo proroghe, fino alla fine del 2025). Il sito della struttura commissariale, aggiornato a cadenza quasi quotidiana e ricco di contenuti, riferisce di oltre venti decreti firmati nel corso degli anni. Ma senza poter aggredire frontalmente la piaga. Il commissario per l’emergenza idrica non detiene infatti i pieni poteri che solitamente vengono assegnati ai commissari.

Tra i lavori più importanti segue i dissalatori in Sicilia. I numeri confermano il raggio d’azione limitato di Dall’Acqua. Solo per poche opere, otto (cinque al centro-nord e tre al sud) su centinaia da mettere in programma, gli sono stati affidati compiti esecutivi.

Per il resto il commissario si è dedicato alla raccolta di dati con lo scopo evitare la frammentazione delle informazioni tra varie autorità di bacino. Uno dei risultati è quello di aver centralizzato il bilancio idrico, prima spacchettato tra vari enti. Con tutte le farraginosità del caso. Il commissario deve poi preparare documenti per indicare le possibili soluzioni da proporre alla cabina di regia sull’emergenza idrica. E si torna al punto di partenza: il centro decisionale è sempre il ministero delle Infrastrutture di Salvini, che presiede la cabina di regia a cui Dall’Acqua è tenuto a relazione.

Non è un mistero che il leader della Lega avrebbe voluto diventare commissario tout court assommando tutte le funzioni. E intestandosi la battaglia in solitaria. Proprio per Meloni ha optato per un’altra soluzione, creando una situazione ibrida: un commissario tecnico, ma con poteri limitati.

In mezzo alle questioni politiche, però, i corsi d’acqua si seccano. Principalmente al Mezzogiorno, ma non solo. La questione è nazionale «Manca una programmazione strutturale, agiscono con interventi estemporanei. Fanno qualcosa dove cercano un po’ di consenso elettorale, ma senza una pianificazione», dice a Domani il deputato del Pd, Marco Simiani, che ha più volte portato a Montecitorio il tema della scarsità idrica. Dovendo ascoltare le risposte ciclostilate a forma di propaganda.

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