Ora al Senato sono arrivate anche 500mila firme di una petizione popolare a favore della legge Zan. Ieri la presidente Maria Elisabetta Casellati ha ricevuto le associazioni promotrici dell’iniziativa, che chiedono di approvare il ddl «subito». E invece il percorso del testo contro l’omofobia e la transfobia si allunga pericolosamente. Il presidente della commissione Giustizia, il leghista Andrea Ostellari, ha fatto sapere che delle circa duecento richieste di audizioni arrivate, ne avrebbe eliminate meno di quaranta. Ne rimarrebbero circa 170. Una tattica dilatoria, solo l’ultima messa in atto, che del resto Matteo Salvini aveva annunciato più di un mese fa fin nel dettaglio. I colleghi della commissione non hanno ancora potuto conosce la lista delle associazioni che saranno «audite».

Se ne riparla martedì, alle tre del pomeriggio, quando Ostellari, che si è anche autonominato relatore della legge, renderà noto il «cronoprogramma» del lavoro. Franco Mirabelli, capogruppo Pd in Commissione, uomo poco incline ad alzare i toni, ammette che il traguardo dell’approvazione della legge rischia di allontanarsi di parecchio. «Al presidente Ostellari abbiamo chiesto tempi certi per poter concludere entro giugno audizioni e discussione. Se martedì non ci darà queste certezze faremo noi una proposta di calendario e la voteremo». Perché il paradosso è che in commissione la maggioranza resta quella giallorossa che a novembre ha approvato il ddl alla Camera.

E che infatti due giorni fa è riuscita a respingere il tentativo di abbinare la «Zan» al testo delle destre di governo, a prima firma della forzista Licia Ronzulli. La legge già approvata resta dunque la base della discussione.

Ma una volta avviato il lavoro della commissione, il problema si sposterà nell’aula. Quando il testo ci arriverà, dovrà affrontare l’incognita di qualche voto segreto, che verrà certamente chiesto e concesso visto che la legge affronta «temi sensibili». E qui più che l’avversione militante e rumorosa delle destre, c’è da temere il fuoco amico. Che curiosamente non preoccupa Andrea Marcucci, il senatore ex presidente del gruppo dem: «È evidente che la Lega voglia solo perdere tempo in commissione e non portare il provvedimento in votazione. Il partito di Salvini eviti la melina ed affronti il Senato: ci conteremo in aula». Ma la sfida mette in conto un rischio che il Pd non vuole e non può correre. Anche perché nel frattempo il capogruppo di Italia viva Davide Faraone rompe il fronte compatto del «sì subito» e invita i presidenti dei gruppi a sedersi attorno a un «tavolo politico per superare steccati e contrapposizioni sterili». Di fatto è un’apertura a qualche modifica, apparentemente per far approvare la legge. Ma che in realtà rischia dà alle destre di governo e di opposizione la possibilità di compattarsi per cambiarne il senso. E comunque ogni variazione sancita in aula riporterebbe il disegno di legge alla Camera, in terza lettura, con tempi incerti e una concretissima prospettiva di fallimento. Non a caso la proposta del tavolo è stata accolta con interesse da destra. «La vera intenzione della Lega è non fare nessuna legge», avverte Simona Malpezzi, presidente dei senatori dem. Ora il Pd cerca di ricompattare il fronte, senza però rompere con gli alleati renziani, che sono determinanti nel voto d’aula. E a cui evidentemente non dispiace sconfessare la linea del «sì subito» sulla quale punta il segretario del Pd Enrico Letta.

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