- Le feste a Cortina sono occasioni per rinverdire molti stereotipi nazionali, sempre quelli -eterni a questo punto- raccontati dai fratelli Vanzina già negli anni Ottanta.
- Ma credo che, a ben guardare, oggi tra gli sfarzi si sarebbe visto aleggiare un fantasma: il timore che potrebbe non durare a lungo, che dietro l'angolo ci sia il rischio di un declassamento sociale.
- Il segmento alto della classe media è troppo ricco per rinunciare ai consumi voluttuari e di status, ma in prospettiva troppo fragile per rimanere arroccato nella torre d’avorio.
Cortina 2023. Di che strato sociale sbruffone, “blingherone” perché consumatore fino all'impossibile, renitente alla sfera pubblica (da ogni punto di vista) stiamo parlando? Lo chiediamo a Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis (Centro Studi Investimenti Sociali)
Le feste a Cortina sono occasioni per rinverdire molti stereotipi nazionali, sempre quelli -eterni a questo punto- raccontati dai fratelli Vanzina già negli anni Ottanta.
È l'immagine di un ceto medio arricchito e interclassista, che ostenta il proprio successo e una certa opulenza: il manager milanese, il commercialista di Bari e soprattutto l'alto burocrate romano si ritrovano insieme di giorno sulle piste da sci (poco) e la sera al ristorante di lusso (per lo più).
Ma credo che, a ben guardare, oggi tra gli sfarzi si sarebbe visto aleggiare un fantasma: il timore che potrebbe non durare a lungo, che dietro l'angolo ci sia il rischio di un declassamento sociale.
Perché è ancora così resistente, questo strato? Da quanti anni esiste, seppur lontano (e allontanato, per ribrezzo altrettanto vanziniano) dai poteri classici che qui hanno da sempre il loro regno vacanziero?
A Cortina si è visto pure Giuseppe Conte, e alcuni rappresentanti del Governo. Niente moralismi, per carità. Però l'immagine mi sembra una plastica conferma della mia tesi secondo cui siamo entrati in una stagione post-populista.
Niente più tribuni della plebe né leader politici demagogici pronti a infiammare le piazze fomentando aspettative irrealistiche nei delusi e nei rancorosi.
Tutte le élite politiche occidentali stanno integrando misure protettive a vantaggio delle classi lavoratrici. I miti proiettivi della rampante società dei consumi si sono appannati, anche a Cortina, e oggi tutti chiedono maggiore protezione.
Tutto questo resisterà alle bordate del 2023, e dopo al 2024?Stiamo parlando comunque -oltre che di rentier a vario titolo- del motore che fa crescere a sorpresa il Pil e l'export italiani, credo: gli imprenditori individuali(sti), i molecolari, la granularità del 'made-in-italy' a 360 gradi (anche tecnico-meccanico)...
Il segmento alto della classe media è troppo ricco per rinunciare ai consumi voluttuari e di status, ma in prospettiva troppo fragile per rimanere arroccato nella torre d’avorio. Le nostre esportazioni hanno continuato a correre anche negli anni di crisi. Chi è riuscito ad agganciare i flussi globali ha vinto. Ma domani?
Una de-globalizzazione probabilmente non conviene a nessuno, ma sappiamo che spesso sullo scacchiere geopolitico si compiono anche scelte irrazionali.
A quel punto ci accorgeremo che i successi all’estero del nostro made in Italy, all’ombra dei quali ci siamo glorificati per molto tempo, mascheravano una depressione della domanda interna: i consumi delle famiglie italiane non sono mai tornati ai livelli antecedenti alla grande crisi del 2008.
E cos'è questa malinconia che viene fuori sotto sotto, oltre al sentimento già ampiamente narrato da 60 anni dalla commedia all'Italia del secolo scorso (mestizia del maschio senescente compresa)?
La malinconia è il sentimento che, a mio parere, definisce meglio il carattere degli italiani in questo momento. Si è malinconici al crepuscolo, di fronte al tramonto. «È finita l'era dell'abbondanza», ha annunciato qualche tempo fa Emmanuel Macron. È finita l'epoca delle sicurezze, aggiungo io.
Ci rendiamo conto di essere esposti a rischi globali fuori dal nostro controllo: la pandemia, la guerra alle porte dell'Europa, il pericolo della bomba atomica, l'inflazione a due cifre, il paventato razionamento delle forniture energetiche.
Più in generale, la crisi climatica e l'ecologismo come nuovo paradigma della cultura collettiva segnano la fine dell'antropocentrismo inteso come modus vivendi, cioè l’idea di un dominio onnipotente e incontrastato dell'individuo sugli eventi e sul mondo.
La malinconia è il sentimento corrispondente di questo nichilismo dei nostri tempi, l’offuscamento delle radiose promesse della modernità.
© Riproduzione riservata