Dopo un mese passato a pesare sacchi d’argento e monete d’oro su bilance speciali, ad analizzare monili preziosi e cataloghi specializzati, in Vaticano hanno stabilito che il tesoro sequestrato a Fabrizio Tirabassi ha un valore assai maggiore rispetto a quanto immaginato inizialmente. L’ex economo della segreteria di Stato, indagato per corruzione, peculato e abuso d’ufficio nell’inchiesta che sta scuotendo la Santa Sede, avrebbe (insieme a suo padre Onofrio) un patrimonio numismatico imponente, di valore commerciale superiore agli 8,2 milioni di euro. Secondo fonti giudiziarie, anche vendendo a peso il metallo, si guadagnerebbero non meno di 3,9 milioni di euro.

Le foto inedite del sequestro, che Domani pubblica in esclusiva, mostrano migliaia di monete in sacchi di iuta da decine di chili, blister con dobloni e mazzi di banconote per oltre 620 mila euro. Una ricchezza da favola che il nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di Finanza, insieme agli uomini della gendarmeria vaticana, hanno trovato a casa di Onofrio a Celano, in Abruzzo, e in un deposito intestato al figlio Fabrizio.

Oro, argento e contanti

L’origine dei contanti e delle monete deve ancora essere assodata. I contanti – per la precisione 416 mila euro trovati in una cesta nell’immobile di Onofrio, 206 mila in una scatola di scarpe in un deposito intestato all’ex funzionario dei Sostituti Angelo Becciu e Edgar Peña Parra - secondo il decreto di sequestro firmato il 4 dicembre dai promotori di giustizia potrebbero «essere riconducibili alle attività oggetto di indagine». L’economo è accusato di corruzione insieme al banchiere «suo complice» Enrico Crasso, e negli anni avrebbe avuto stipendi dal Vaticano di medio livello, bonificati in un conto corrente allo Ior mai movimentato. I compensi, spiegano dunque gli inquirenti nel decreto che conferma il sequestro, «per entità non possono dunque giustificare le somme rinvenute».

Secondo i Tirabassi, invece, quelli mazzi da 50 euro sarebbero solo frutto dei risparmi di una vita. Messi da parte grazie al secondo lavoro che Fabrizio (con il presunto permesso dei suoi superiori) avrebbe svolto in Italia: quello di dottore commercialista. Anche altri conti correnti a lui intestati trovati dagli investigatori in Svizzera presso l’Ubs (si parla di una cifra inferiore al milione di euro) e scudati nel 2015 in Italia grazie alla voluntary disclosure, per la difesa non sarebbero affatto mazzette «per compiere atti contrari ai suoi doveri di ufficio», ma guadagni svincolati dalle mansioni vaticane.

Si vedrà. Parte consistente dei medaglioni potrebbero essere legati all’attività imprenditoriale di Onofrio, che per mezzo secolo ha gestito un negozietto di numismatica a Borgo Pio, quartiere romano sotto l’ombra del cupolone. Il locale che commerciava monete era di proprietà della stessa Santa Sede, a cui Tirabassi senior pagava regolare affitto. La provenienza di altri preziosi rinvenuti a casa di Fabrizio è invece ancora sub judice: «Numerose medaglie d’oro non sono in vendita presso l’Ufficio filatelico e numismatico del Governatorato, bensì sono di proprietà dell’ufficio amministrativo della segreteria di Stato», segnalano i promotori. Sospetti anche su «numerosi sacchetti ancora sigillati a piombo con il timbro IPZS (Istituto poligrafico e zecca dello stato, ndr) verosimilmente mai aperti contenente monete sciolte in argento commemorative dei pontificati di Pio XII e Giovanni XXIII», scrivono ancora i magistrati ipotizzando un nuovo reato di peculato e/o appropriazione indebita.

Se è improbabile che i dubbi vengano sciolti in tempi brevi, è sicuro che anche il sequestro del tesoro dei Tirabassi stia creando (come nel caso dell’arresto di Cecilia Marogna, l’esperta diplomatica assoldata da Becciu per la liberazione di alcuni sacerdoti rapiti in Africa e accusata di peculato dai pm del pontefice) più di un interrogativo tra gli esperti di diritto penale. A causa dei rapporti giuridici non codificati tra Italia e Vaticano e alle questioni insolute sulla giurisdizione tra due stati che, esclusi i vecchi Patti Lateranensi del 1929, non hanno mai firmato trattati bilaterali né codici comuni che consentano di essere applicati in casi giudiziari che coinvolgono cittadini e autorità italiani.

Le “cortesie internazionali”

Un deficit normativo che rischia di frustrare le complesse indagini dei promotori del papa. Se è vero che poche ore fa la Cassazione ha accolto il ricorso degli avvocati Massimo Dinoia e Fabio Federico e ha annullato senza rinvio la misura cautelare chiesta dalle autorità vaticane per la Mrs Wolf assunta dal cardinale Angelo Becciu, è un fatto che due settimana fa il tribunale del riesame di Roma abbia ordinato alla procura il dissequestro dei beni di Onofrio Tirabassi.

Le monete che il commerciante rivendica come sue sono però ancora conservate in una stanza a pochi passi da Santa Marta: i magistrati vaticani Gian Piero Milano, Alessandro Diddi e Gianluca Perone hanno infatti emesso un nuovo dispositivo di sequestro su parte dei metalli preziosi, perché vogliono capire con esattezza la loro provenienza prima di restituire alcunché.

L’avvocato Cataldo Intrieri, che difende entrambi i Tirabassi insieme allo studio di Massimo Bassi a Milano, sostiene che la confisca-lampo voluta dalla Santa Sede sia paragonabile a «una scorreria in territorio straniero». Anche se è stata fatta attraverso regolare rogatoria, a parere dei Tirabassi il sequestro è illegittimo. Perché Onofrio non è indagato, e perché quanto trovato dalle forze dell’ordine non c’entrerebbe nulla con lo scandalo del palazzo di Londra in cui è coinvolto Fabrizio. Le monete sarebbero in parte rimanenze del negozio e in parte investimenti «legittimi» di cui esisterebbero regolari fatture rilasciate proprio al Vaticano, da cui Onofrio era solito comprare blocchi di medaglie.

In realtà in assenza di accordi, il sequestro è stato eseguito dai pm capitolini in forza del principio – come scrive il ministero della Giustizia – della “cortesia internazionale”. I Tirabassi però hanno chiesto pochi giorni fa ai magistrati romani di adoperarsi verso lo stato pontificio affinché adesso usi il medesimo principio con l’Italia, e restituiscano il tesoro milionario di Onofrio almeno nella parte non vincolata dalla seconda confisca. Leggendo le carte vaticane, però, è chiaro che gli uomini di Francesco non molleranno quelle che ritengono prove importanti di presunti illeciti. La guerra legale per il tesoro milionario è solo all’inizio.

 

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