Veneto, obiettivo: stravincere. Meloni parla di unità ma è tutti contro tutti

Insieme sul palco di Padova, divisi ovunque. O meglio, l’un contro l’altro armati in una contesa elettorale che in Veneto ha il sapore di uno scontro interno al centrodestra per l’assestamento dei nuovi equilibri. «La nostra non è un’alleanza di comodo ma una comunità di destino», ha detto Giorgia Meloni, accolta da un boato e una selva di bandiere di FdI che hanno sventolato solo quando lei ha preso la parola. La premier ha ringraziato gli alleati ma in particolare il suo partito: «Se non lo avessi alle spalle, coeso e generoso, non potrei fare il mio lavoro». Ha rivendicato di aver «stravolto i pronostici degli avversari», ricordando il 30 per cento di FdI dopo tre anni di governo e «terzo più longevo». La sua è stata una rivendicazione di buon governo contro le «ricette tardo-comuniste» e avversari che «vogliono che le cose vadano male». Poi ha rivendicato il no alla patrimoniale e un recupero dell’evasione fiscale record «senza vessare i cittadini». Un repertorio noto, che ha galvanizzato la platea. «L’obiettivo non è vincere, è stravincere», ha detto Matteo Salvini, che ha rivendicato autonomia, sicurezza, immigrazione e legittima difesa, facendo l’elenco di sgomberi e arresti, parlando da «ex ministro dell’Interno». Un profluvio di «io», con citazione al processo d’appello per il caso Open Arms. Antonio Tajani ha invece puntato tutto sulle imprese «che danno lavoro e devono essere sostenute». Con toni ineditamente critici rispetto al Green deal e alla «burocrazia europea». Sanità pubblica in affanno, il “modello Veneto” tra attese infinite e privatizzazione Zaia, poco sorridente e conciso, ha fatto l’elenco dei suoi risultati, in particolare «l’orgoglio dei veneti di dire che sono veneti», anche quelli che non vedrà realizzati da presidente: dalle Olimpiadi all'autonomia differenziata. Nell’identificare l’avversario non ha parlato del centrosinistra ma dell’«astensionismo» e di Stefani ha detto che «sarà se stesso», «nella continuità» però. A lui sono arrivati i ringraziamenti di Alberto Stefani, che ha promesso «l’autonomia» nel segno dell’«orgoglio veneto». Scontata la vittoria del vicesegretario della Lega, il trentatreenne parlamentare Alberto Stefani, l’altra certezza è che a dettargli l’organigramma sarà Fratelli d’Italia, che infine ha ceduto sul nome del candidato governatore ma pretenderà i pezzi pregiati in giunta. Tutti contro Meloni. In Veneto e Campania è una sfida tra alleati «Alla Lega lasceremo per competenza territoriale la presidenza del Consiglio regionale, ma gli assessori li decideremo noi», non ha dubbi un influente dirigente meloniano, con Stefani che rischia di essere il proverbiale vaso di coccio tra vasi di ferro. Del resto i sondaggi parlano chiaro: il vantaggio del centrodestra è ampio, tra il 65 e il 62 per cento, ma ben lontano dalle percentuali bulgare di Zaia, che da solo con la sua lista pesava con il 44 per cento. Oggi il governatore uscente è candidato capolista in tutti i collegi a trainare la lista della Lega: mossa da buon leghista, ma anche ultima prova di forza prima di veleggiare verso lidi migliori rispetto allo scranno di consigliere regionale semplice. Dove? Salvini lo vorrebbe candidato alle suppletive, perché prenda il posto di Stefani in parlamento. E poi chissà. Dentro FdI si vocifera che sarà proprio Meloni a trovargli un posto degno delle sue competenze. Dietro Zaia, la crisi: viaggio nel Veneto delle disuguaglianze E non è l’unico cruccio della Lega. Anche in Veneto, infatti, l’effetto Vannacci rischia di dividere più che unire: nella lista alla fine è riuscito a collocare il “suo” candidato e consigliere uscente della lista Zaia, Stefano Valdegamberi. Per nulla amato nella Liga Veneta, Valdegamberi ha condotto la sua campagna elettorale in sostanziale solitudine, perché isolato dagli altri candidati leghisti che hanno accuratamente evitato di partecipare a eventi con lui. Proprio il generale ed eurodeputato ha condotto in Veneto una campagna elettorale parallela con i suoi candidati. Anche mentre i leader di centrodestra erano insieme sul palco di Padova lui era a Venezia e non ha rinunciato a punzecchiare proprio Zaia, che lo aveva descritto come «un militante come tanti». «Zaia forse non si ricorda che sono anche il suo vicesegretario», ha detto con il solito sorriso. Anche per lui l’esito del voto e i risultati dei suoi candidati saranno rilevanti per confermare il suo seguito in una regione leghista per antonomasia, dove alle europee del 2024 è stato il più votato in lista con 72mila preferenze. Dai taxi al Ponte, Salvini fa flop: la manovra è l’ultima spiaggia L’autonomia Sarà necessario aspettare martedì prossimo – si vota domenica 23 e lunedì 24 novembre - per interpretare nel modo giusto i dati, completi anche dei voti personali dei candidati. Proprio in questo Forza Italia punta a fare il terzo incomodo: il coordinatore azzurro Flavio Tosi, anche lui candidato in tutti i collegi come Zaia, ha fatto campagna acquisti tra i ex leghisti esclusi, uno tra tutti l’ex sindaco di Vittorio Veneto Toni Da Re. In questo tutti contro tutti, la mossa in extremis della Lega, rivendicata sul palco di Padova, è stata quella di permettere all’uscente Zaia di firmare – nella sua ultima settimana da governatore – la pre-intesa sull’autonomia differenziata su quattro materie. Con una firma e una stretta di mano al ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli, il Doge ha sottoscritto intese su quattro materie “non lep”: protezione civile, professioni, previdenza integrativa e sanità. Giornata «storica» secondo i due. Un passaggio più che altro formale, ma utile a tirare l’ultimo miglio di campagna elettorale per la Lega sotto la bandiera dell’autonomia. «L'ennesima, indecorosa messa in scena: un teatrino elettorale che insulta l'intelligenza dei cittadini», ha bollata il candidato di centrosinistra, Giovanni Manildo. «Come se ne avessimo bisogno per vincere», ha chiosato Zaia. In attesa di capire come Stefani proseguirà sul percorso dell’autonomia, anche sulla base di quanto la futura – e nutrita – componente meloniana intenderà influire. Vannacci snobba la Lega. E sul Veneto Salvini promette l’impossibile