In Vaticano è tutto pronto per il processo del secolo. Quello contro il cardinale Angelo Becciu, che i magistrati del papa vogliono a mandare al più presto a giudizio. L’accusa contro l’ex sostituto della segreteria di Stato è quella di concorso in peculato, reato di cui è incriminata anche l’esperta di intelligence Cecilia Marogna. I pm vogliono prendere una decisione in tempi brevi, forse subito dopo l’interrogatorio con il monsignore previsto nei prossimi giorni. Becciu per difendersi potrebbe chiedere a papa Francesco di essere svincolato dall’obbligo al segreto di stato. L’unico motivo – ha detto ai suoi amici del palazzo apostolico – per cui non ha finora parlato della vicenda dei 575mila euro girati a Marogna.

Chi vuole il processo

L’incubo giudiziario del prelato è iniziato lo scorso 24 settembre quando è stato costretto dal pontefice a dimettersi da prefetto della Congregazione dei santi, e privato di ogni diritto cardinalizio. Il monsignore di Pattada è oggi indagato per peculato, interesse privato e “insulto al re” (cioè a Bergoglio, sovrano della Città del Vaticano) in tre diversi filoni d’inchiesta. Quello che riguarda i denari girati a una cooperativa sociale di un fratello. Un secondo su presunti attacchi rivolti al papa durante una conferenza stampa, a cui si sommano quelli che sarebbero contenuti in un esposto contro l’Espresso. Infine il fascicolo, apparentemente più delicato, che riguarda i bonifici a favore di Marogna.

Domani ha già raccontato come la donna, 40 anni a febbraio e assunta nel 2017 dall’allora sostituto come «consulente per le relazioni esterne della segreteria di Stato», sia stata indagata dagli inquirenti vaticani per aver ottenuto indebitamente 575mila euro, proprio grazie ai buoni uffici del cardinale. Soldi che la Marogna avrebbe dovuto impiegare in operazioni segrete per la liberazione di alcuni religiosi rapiti da terroristi jihadisti, e che invece avrebbe speso per beni di lusso e utilità varie, comprese vacanze alle terme, borse Prada e vestiti Missoni.

I promotori Gian Piero Milano e Alessandro Diddi ne hanno prima ottenuto l’arresto in Italia. Ma poi, dopo che la corte d’Appello di Milano ha bocciato la carcerazione preventiva rimettendola in libertà, hanno deciso di cambiare strategia. Così qualche giorno fa hanno revocato la misura cautelare, e rinunciato conseguentemente alla domanda di estradizione, da tempo rivolta ai giudici italiani. Una scelta, ha detto il Vaticano, presa per «consentire all’imputata di partecipare al processo in Vaticano libera da ogni pendenza». Per gli avvocati della donna, Massimo Dinoia, Maria Cristina Zanni e Fabio Federico la mossa dei magistrati pontifici è stata al contrario «una resa senza onore: anziché riconoscere i loro errori, hanno revocato il mandato di cattura, sottraendosi al confronto con noi e al giudizio della corte».

Nel comunicato con cui il giudice istruttore del tribunale vaticano ha dato la notizia, si chiarisce non solo come la celebrazione del giudizio sia «imminente». Ma pure che il reato ipotizzato per Marogna sia di «peculato, commesso in concorso con altri». Ora, risulta che tra gli “altri“ ci sia proprio Becciu.

Mistero inglese

Le specifiche contestazioni rivolte al cardinale non sono però ancora note. È un fatto che dalle carte dell’accusa risulta sia proprio l’alto prelato a sollecitare monsignor Alberto Perlasca, suo ex collaboratore alla segretaria di Stato diventato oggi suo grande accusatore, di effettuare nove bonifici (con la causale «voluntary contribution for umanitarian service») per un totale di 575mila euro a favore della Logsic Doo. Una società slovena controllata al 100 per cento dalla Marogna che secondo i magistrati, invece di impiegare i soldi arrivati dal palazzo Apostolico «per la liberazione di una suora colombiana rapita da organizzazioni criminali straniere» in Mali, avrebbe sperperato 276mila euro in attività «voluttuarie del tutto ingiustificate».

Gli investigatori vogliono capire come mai Becciu (che aveva consegnato a Marogna il 17 novembre del 2017 una lettera di presentazione con carta intestata vaticana a sua firma, nella quale dichiarava di conoscerla e «di riporre in lei fiducia e stima per la serietà della sua vita e della sua professione») avesse usato un soggetto esterno per operazioni di sicurezza da sempre appannaggio della Gendarmeria. Inoltre vogliono sapere se avesse contezza che parte importante dei denari inviati alla Logsic erano stati spesi dalla donna per fini non istituzionali (a chi scrive Marogna ha detto che i fondi ottenuti per le sue missioni comprendevano anche il suo stipendio).

Gli inquirenti vorrebbero pure sapere da Becciu se volesse davvero, come crede qualcuno, costruire in Vaticano una rete diplomatica parallela con il supporto dell’esperta. E se con questo fine all’inizio del 2018 abbia disposto, sempre «su sollecitazione di Marogna», due bonifici per altri 575mila euro (500mila sterline, una somma identica a quanto dato alla Logsic Doo) a favore della Inkerman Training Limited. Una piccola società inglese specializzata nell’intelligence, nella gestione del rischio e – come ha scoperto La Verità – nella negoziazione in caso di sequestri e rapimenti. «Allo stato, non si conosce né la motivazione, né la destinazione finale delle somme elargita dalla segreteria di Stato», dicono gli investigatori.

Becciu si è dichiarato subito parte lesa, ma non ha mai denunciato per truffa Marogna. E se al suo entourage ha sempre negato di aver peccato, non ha mai spiegato i motivi per cui ha consegnato all’amica, o a società inglesi semisconosciute, oltre un milione di euro in appena un anno e mezzo. Silenzi e mancati chiarimenti che potrebbero oggi trascinarlo sul banco degli imputati. «Per difendermi dovrei rivelare inconfessabili segreti di stato», ripete ai suoi fedelissimi da mesi. «Se rivelati creerebbero gravi imbarazzi alla Santa Sede. Ma ora voglio difendermi». Ecco perché è possibile che prima dell’interrogatorio il cardinale chieda al pontefice di essere svincolato da ogni obbligo di segretezza. Per poter raccontare la sua versione dei fatti su una vicenda ancora oscura. Sperando che la sua verità gli eviti al fotofinish un primo rinvio a giudizio (gli altri filoni d’indagine non sono ancora chiusi) che in Vaticano molti danno già per scontato.

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