La premier: «Facciamo grande l’Occidente» e incassa complimenti. L’unico risultato è la promessa di vedersi a Roma. Domani 18 aprile il vertice con Vance
«Great person», ha urlato ai giornalisti Donald Trump, col pollice verso Giorgia Meloni appena scesa dall’auto, tailleur bianco d’ordinanza. Il presidente americano ha accolto la premier all’ingresso della Casa Bianca alle 12 ora locale. A riprova del clima disteso tra i due, già prima del bilaterale – questo è formalmente l’incontro tra Italia e Usa – il tycoon si è speso davanti ai giornalisti in parole distensive nei confronti dell’Unione europea.
«Continuiamo a dialogare senza fretta» per siglare accordi commerciali sui dazi e «le discussioni stanno andando bene: ci saranno accordi giusti» e ancora «avremo pochi problemi a trovare un accordo con l’Ue», anzi «ci sarà al 100 per cento», ma «sarà un accordo equo».
Anche Meloni, nel rispondere alle domande, ha scelto prima di tutto la via del rapporto amicale, invitando ufficialmente Trump a venire in Italia dove potrebbe incontrare Ursula von der Leyen – invito accettato – e ricevendo in cambio grandi complimenti: «Sta facendo un lavoro eccezionale. Sono orgoglioso di lei, la conoscevo sin dall’inizio, so che ha grande talento. Ho detto abbastanza?» ha chiesto il presidente a Meloni.
Poi, rispondendo alle domande ai giornalisti, ha aggiunto: «Sta facendo un ottimo lavoro ed è rispettata da tutti, non posso dire lo stesso di altri».
Incassata la pubblica dimostrazione di affetto americano, Meloni è riuscita a ottenere null’altro: nessuno slogan da portare a casa, se non attestati di stima. Solo un generico riferimento a investimenti per «10 miliardi» che le imprese italiane faranno negli Usa.
Lei ha chiesto di aprire un dialogo, dando la sua cifra di metodo: «La strada migliore è parlare con schiettezza delle necessità reciproche e trovare un terreno d’intesa a metà strada. Entrambi possiamo uscirne più forti sulle due sponde dell’Atlantico». Un tono che certamente è piaciuto al tycoon, quantomeno sul fronte della schiettezza. Meno, probabilmente, su quello di incontrarsi a metà strada.
Parole d’ordine
Chiuse le strade ad accordi di qualsiasi natura, Meloni ha puntato sulla costruzione di un comune piano politico. Lo slogan scelto e preparato, che Meloni ha ripetuto ben due volte, è stato quello di definirsi una «nazionalista occidentale». Un lessico che Trump conosce e una combinazione assolutamente volontaria di parole spesso utilizzate anche dallo stesso presidente. «Make the west great again», far tornare grande l’Occidente, ha detto Meloni parafrasando proprio il motto Maga.
Grandi sorrisi, insomma, e tentativi espliciti di lusinga. «Condividiamo la lotta contro le ideologie del passato, contro l’immigrazione illegale e contro le droghe», ha detto Meloni, ribadendo quanto già era stato anticipato: l’Italia aumenterà l’importazione di Gnl, sta lavorando a nuovi impianti nucleari e c’è margine di dialogo su «economia, difesa e spazio». Quest’ultimo riferimento non casuale, considerati gli interessi di Elon Musk, che di Trump è consigliere.
Prove di dialogo
Il clima di familiarità instaurato è stato di fatto l’unica vittoria della premier, che ha preparato l’incontro nei minimi dettagli e ha evitato qualsiasi antagonismo, per ridurre al minimo il rischio di reazioni inconsulte cui il presidente americano ha abituato anche davanti alla stampa internazionale.
Dalla Casa Bianca, del resto, è filtrata alla Cnn la valutazione che Meloni sia «una interlocutrice valida» con gli Usa, nel portare avanti la proposta europea dell’area comune a «zero dazi». «Il presidente Trump sta prendendo la questione molto seriamente» ed «è pronta per un accordo», ha fatto sapere la fonte.
Meloni è consapevole da giorni di avere gli occhi del mondo addosso e in particolare quelli dell’Unione europea dopo il fallimento delle trattative sui «dazi zero» del commissario europeo per il Commercio, Marcos Sefcovic. Come chiarito in modo esplicito prima della partenza, però, Meloni non ha alcun mandato europeo per discutere di dazi e von der Leyen le ha solo accordato il ruolo informale di facilitatrice. E su questo ha tentato di giocare Meloni, ma senza spingersi oltre.
Del resto, il messaggio di Trump è stato chiaro: non ha alcuna fretta di chiudere accordi e gli unici alleati che gradisce sono quelli che – come ha fatto Meloni – fanno professione di perfetto allineamento.
Oltre ai dazi, si è parlato anche del fronte di guerra in Ucraina. Non è un mistero l’ambizione italiana di essere tra i principali attori della ricostruzione ucraina e ottenere l’estensione per Kiev delle garanzie previste dall’articolo 5 della Nato sulla difesa reciproca. Il capitolo è stato affrontato con cautela, alla luce delle trattative in corso fra Trump e la Russia e della mancata condanna americana della strage russa a Sumy.
Per addolcire il presidente, due sono state le armi usate da Meloni. La prima riguarda le spese militari e la premier ha esplicitato la garanzia di arrivare «al 2 per cento del Pil da spendere in difesa». Poca cosa considerando che la richiesta americana è di arrivare al 5 per cento, impossibile però per l’Italia alla luce del suo alto indebitamento. Eppure, l’impegno sul 2 per cento dovrebbe venire considerato uno sforzo gradito e «l’Europa è impegnata a fare di più», ha detto Meloni.
L’altra riguarda la Cina, convitata di pietra in ogni trattativa commerciale e individuata da Trump come vera nemica. Anche su questo fronte il margine italiano è scarso, ma politicamente la premier si è mossa per allontanare l’Italia dal mercato cinese e intende promuovere questa strada anche in Ue, mettendo in guardia sulla negatività di una invasione del mercato europeo dei prodotti cinesi. «Nessun può competere con noi, raggiungeremo un accordo con la Cina», è stato il commento tranciante di Trump. Sempre all’insegna della calma. Domani 18 aprile, intanto, Meloni incontrerà in Italia il vicepresidente J.D. Vance.
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