Salvini è andato il 10 febbraio a Tel Aviv chiedendo “l’aereo blu” per l’incontro (molto pubblicizzato) con il premier israeliano Netanyahu. Il guardasigilli era finito al centro di polemiche per l’impiego di voli ministeriali con destinazione la sua città. Ma di recente lo ha rifatto
Il viaggio in Israele era troppo importante per Matteo Salvini. Per l’occasione il leader della Lega e ministro delle Infrastrutture ha fatto lucidare “l’aereo blu”. La photo-opportunity con il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, meritava un volo di stato. Quindi ha inoltrato la richiesta per ottenerlo, visto che la normativa è in effetti stringente.
Il governo Monti, con l’ultima riforma, prescrive che bisogna ricorrere a mezzi ordinari laddove esiste «un collegamento aereo o ferroviario diretto e tale servizio risulti idoneo ad assicurare il trasferimento in tempi e in orari compatibili con gli impegni istituzionali della personalità interessata». Ma c’è un margine di discrezionalità sulla valutazione e con l’eccezione dei voli della presidente del Consiglio o quelli coperti da segreti di stato.
Missione Bibi
Il vicepremier, in effetti, non lo chiede quasi mai. Anche perché per il suo incarico governativo è più facile che viaggi in lungo e in largo per l’Italia, tra cantieri da inaugurare e incontri politici da tenere. Discorso diverso è stato fatto per raggiungere la capitale dello stato di Israele. Secondo quanto risulta dalla documentazione ufficiale, il 10 febbraio Salvini ha chiesto l’uso per un viaggio istituzionale, le 48 ore in Israele a cui teneva molto.
La missione era rilevante dal punto di vista mediatico. È arrivato a Tel Aviv, partendo da Milano a e ha fissato il ritorno a Roma. Il viaggio aveva senza dubbio una base istituzionale. Nella due giorni di febbraio ha avuto vari colloqui, come quello con il presidente della Knesset, Amir Ohana, e con la sua omologa la ministra dei Trasporti del governo israeliano, Miri Regev.
Ma non è mancata la ragion politica, oltre che di stato: il leader della Lega voleva mostrare, anche fisicamente, la propria vicinanza al primo ministro israeliano.
La fotografia con Bibi Netanyahu è stata funzionale alla sua propaganda. Il leader leghista è stato tra i primi a criticare la Corte penale internazionale, rea di aver emesso un mandato d’arresto per il premier israeliano.
Verso casa
Tra i voli di stato di febbraio c’è chi ha pensato al modo per tornare a casa, come ha fatto il ministro della Giustizia, Carlo Nordio.
Un déjà vu. A inizio legislatura aveva spesso chiesto l’aereo blu per rientrare a Treviso, la sua città. Una consuetudine che lo aveva esposto a molte critiche. Tanto che il guardasigilli aveva interrotto le richieste di impiego del volo di stato. A metà febbraio, però, ha (ri)fatto uno strappo alla regola che si era autoimposto e ha messo in agenda un viaggio in Turchia con un volo di stato, che lo ha “prelevato” a Treviso. Dal Veneto è partito alla volta di Istanbul prima e di Ankara poi.
Un viaggio con i crismi istituzionali. In quell’occasione Nordio ha illustrato «alla comunità imprenditoriale le riforme del settore giudiziario in Italia come opportunità per l’attrazione di nuovi investimenti», si legge nella nota diffusa dal dicastero. Ma ci sono stati anche dei «colloqui per il rafforzamento della cooperazione giudiziaria bilaterale tra i due Paesi». Alla fine degli impegni l’aereo ha riportato Nordio a Treviso.
Ma se per Salvini e Nordio i voli di stato sono stati casi unici, per quanto singolari, in questi primi due mesi dell’anno c’è un ministro molto attivo nelle richieste dei voli di stato, come Adolfo Urso, numero uno al Mimit: dall’inizio del 2025 ha chiesto 6 volte l’aereo di stato, raggiungendo in questa speciale graduatoria il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che per la natura del suo ruolo ha maggiore necessità di spostarsi.
E infatti, in generale, lo chiede più di tutti. Urso, solo a febbraio, si è spostato con un volo di stato in tre occasioni: a inizio mese per recarsi a un Consiglio Ue informale sulla competitività e sulla concorrenza. La settimana successiva, invece, la richiesta è stata accolta per la partecipazione a Parigi a un incontro sull’intelligenza artificiale. In quella circostanza il ministro era protagonista di un panel sull’applicazione dell’Ia nel mondo produttivo.
Nella capitale francese è tornato a fine mese per la firma di un documento sull’acciaio in Europa, e in mezzo c’è stato lo spostamento a Istanbul, in Turchia, per la visita di alcuni stabilimenti produttivi e il colloquio con il ministro dell’Industria del governo turco. Tutti impegni che abbracciano le mansioni del ministero delle Imprese e del Made in Italy, ma con mete non proprio irraggiungibili con altri mezzi. Ma Urso ha ottenuto il via libera dagli uffici preposti – e chiamati a pronunciarsi sulle istanze – adducendo evidentemente valide motivazioni.
La cosa, peraltro, non rappresenta proprio una novità: nel 2023 aveva usato 25 volte i voli di stato, anche più del ministro della Difesa, Guido Crosetto, che pure ha la necessità di spostarsi molte volte per la natura del suo incarico. In totale, dall’ottobre 2022, il ministro lo ha chiesto in più di 40 occasioni.
Il predecessore di Urso al ministero, Giancarlo Giorgetti (all’epoca ministro dello Sviluppo economico), ha preso i voli di stato solo 12 volte nell’intero mandato (durato un anno e mezzo circa) nel governo Draghi. Almeno in questo il made in Italy viene facilmente esportato.
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