«Vogliamo spostare la linea delle estrazioni dopo le nove miglia più a sud», racconta il senatore di Fratelli d’Italia Bartolomeo Amidei. In questi giorni ha parlato personalmente con il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, per intervenire ancora prima che il testo del decreto sblocca trivelle arrivi in parlamento. La partita sul limite delle trivellazioni, racconta, non è chiusa. In prima linea è sceso il presidente del Veneto Luca Zaia. Intanto l’amministratore dell’Eni Claudio Descalzi ribadisce che è il metano è tutto utile: il Cane a sei zampe anche se il Veneto fosse escluso manterrebbe la possibilità di nuove estrazioni in Sicilia.

Il Veneto

Che la regione a guida leghista non se ne sarebbe stata buona, si era capito già quando il testo era stato annunciato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, come uno strumento per avere gas da vendere a prezzi calmierati alle imprese, spostando il limite di trivellazione dalle 12 miglia dalla costa alle nove. Dal delta del Po in giù. Le coste del Veneto non sono state escluse del tutto e Zaia si è ribellato sulle pagine del Corriere: «Nel referendum del 2016, io avevo sostenuto il no alle trivelle come quasi l’86 per cento dei veneti e degli italiani. E oggi, confermare quel no non è soltanto una questione di coerenza», ha detto lanciando un messaggio a Meloni. Anche lei all’epoca era per il no.

Il testo sblocca trivelle circola da giorni, ma era stato rinviato nonostante la presentazione ufficiale del ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin. I permessi, ha comunicato domenica il coordinamento No Triv, potranno partire nell’area marina interessata, posta al largo del Delta del Po e vasta 126 chilometri quadrati, compresa tra il 45° parallelo, poco più a sud del Golfo di Venezia, e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro nel fiume Po. L’unica condizione è che si sfruttino giacimenti con un potenziale minerario di almeno 500 milioni di metri cubi.

La relazione tecnica mette nero su bianco i “nomi” delle possibili aree. Ad oggi, tra le 9 e le 12 miglia, non sussiste alcuna istanza di concessione in corso di istruttoria, si legge nella relazione tecnica, ma ci sono cinque permessi di ricerca, catalogati con sigle alfanumeriche che devono essere tradotte in indicazioni geografiche e imprese che hanno ottenuto il permesso.

 Il primo A.R80.AG è al largo della Laguna veneta con il 40 per cento dell’area fuori le 9 miglia. Il secondo A.R78.AG interessa un’area al largo delle coste emiliane, circa un terzo fuori le 9 miglia: entrambi sono di Eni. Poi F.R40.NP, al largo di Brindisi, totalmente fuori dalle 9 miglia, della Northern Petroleum; G.R13.AG – al largo di Gela e a ridosso della concessione di “Argo e Cassiopea” - con una minima parte fuori le 9 miglia, e il permesso G.R14.AG – che avrebbe circa l’80 per cento di area fuori le 9 miglia ma ha due pozzi Panda 1 e Panda W1 già realizzati nella fascia tra le 9 e le 12 miglia, per una produzione prevista di gas per circa 1,7 miliardi di Smc. Anche questi, Eni, per un totale di quattro permessi su cinque.

A che prezzo

Le concessioni serviranno, nei piani del governo, a offrire gas a prezzo calmierato alle imprese energivore. Il costo per le imprese sarà definito applicando una riduzione percentuale, anche progressiva, ai prezzi giornalieri registrati al punto di scambio virtuale, e comunque nel limite tra 50 e 100 euro per MWh.

Ma dopo l’opposizione di Fratelli d’Italia al rigassificatore galleggiante di Piombino, l’esecutivo deve fare i conti con le trivelle. «Incontrerò sabato Zaia su tutti i dossier», ha detto Urso. Ci sarà ovviamente la necessità e il tempo per confrontarci anche su questo dossier che riguarda anche le imprese del Veneto perché tra le imprese energivore che otterrebbero beneficio da un provvedimento di questo tipo ci sono anche delle imprese che conosco bene e che conosce bene anche il governatore Zaia in Veneto».

Ma il presidente del Veneto aveva dichiarato che il suo no era proprio in nome delle imprese: «La preoccupazione è diffusa anche per un fatto a cui si pensa poco: la prima industria del Veneto è il turismo, la metà del fatturato viene proprio dalle spiagge». La posizione, assicura, «non è ambientalista e tantomeno ideologica».

La battaglia tutta interna alla coalizione di destra è appena partita, la maggioranza può trovare un compromesso per non scontrarsi con i sindaci leghisti di Veneto ed Emilia che stanno protestando da giorni, ma restano comunque incerte le stime sulle estrazioni. L’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, che perora la causa con la motivazione di affrancarsi dalla dipendenza dalla Russia, ha dato le sue previsioni. Dai tre miliardi di produzione nazionale attuale «credo che si possa arrivare a 5-6 miliardi in 2-3 anni». Per il Cane a sei zampe comunque è uno «sforzo che deve essere fatto».

Mentre le spiagge venete hanno il loro difensore, il Sole24Ore ha anticipato che la coltivazione potrebbe essere riattivata anche nelle acque dei golfi di Napoli, di Salerno e delle isole Egadi. Ma soprattutto aumenteranno ben prima le estrazioni di Argo e Cassiopea, al largo della Sicilia.

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