«Ho letto sui giornali una cosa che mi ha fatto sorridere. C’era scritto che Zingaretti e Letta non litigano. È diventata una notizia che ci siano dirigenti che tirano la barca dalla stessa parte». Nicola Zingaretti si leva qualche sasso dalla scarpa. In realtà sono macigni. La “sua” Agorà sul Next Generation Ue ha come special guest Enrico Letta. Ed è già un notizione, in effetti: che un ex segretario del Pd (peraltro andato via sbattendo la porta e “vergognandosi” del suo partito) esibisca empatia con il nuovo segretario. Non era successo mai nel Pd dei nove segretari bruciati in quattortici anni:  non era successo fra Walter Veltroni e Dario Franceschini, non era successo fra Franceschini e Pier Luigi Bersani, né tantomeno Bersani e Matteo Renzi, neanche fra Renzi e Maurizio Martina. Stavolta succede, e succede anche una cosa in più: si uniscono i puntini e diventa chiaro l’asse fra «Nicola» ed «Enrico», l’intesa e la collaborazione fra i due.  Il segretario non intende «rottamare» niente dell’esperienza precedente. Anzi.

Piazza è agorà

Allo spazio Monk, zona Pietralata, a Roma, arrivano cinquecento ragazzi e ragazze. Associazioni, collettivi, comitati, movimenti. Li ha chiamati Zingaretti. Davanti a loro fa la sua “prima” Cecilia D’Elia, la candidata femminista alle suppletive del Collegio Roma 1. A loro l’ex segretario offre una lezione della sua politica: «Non vorrei mai che una nuova generazione di ragazzi possa pensare che sia normale una politica fatta di sgambetti e pugnalate. C’è un’altra politica fatta di grandissima solidarietà anche da chi viene da percorsi diversi».

A loro il nuovo segretario offre qualche proposta: «Dobbiamo mettere i giovani nel motore del nostro paese e non con la retorica ma con atti concreti: il primo salario deve essere un salario decente. Il 2022 deve essere l’anno dell’eliminazione dei tirocini gratuiti. Deve finire questa storia. Io non voglio eliminare gli stage, ma gli stage fanno parte del percorso formativo e non di quella lavorativo». Letta cerca di svecchiare il partito e di aprirlo alle nuove generazioni. Per questo negli scorsi mesi ha cercato parole d’ordine rivolte ai giovani, dalla “dote” per i diciottennim al voto ai sedicenni, alla legge Zan. Oggi va oltre, li invita a bombardare il quartiere generale: «Prendete in mano questo partito. Non aspettate il capobastone che vi candidi in parlamento. Io vi chiedo di scommettere in questo percorso». 

 «C’è qualcuno che non interpreta la partecipazione in maniera retorica. Il senso delle Agorà è ascoltare e parlare con persone con cui normalmente non parliamo», spiega Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e presidente Ali, «C’è una generazione che scommette su di noi per avere diritti e giustizia sociale».

Ma c’è un tema speciale su cui l’ex segretario e il segretario duettano con particolare sintonia ed è quello delle alleanze. Zingaretti è stato il segretario del Pd che ha portato il partito in alleanza con i Cinque stelle, e anche al governo con loro (anche se lui era il meno propenso al governo, nell’estate del 2019), e che dopo la stagione dell’isolamento renziano ha riaperto i ponti con la sinistra e con l’idea di un’alleanza. «Unire le differenze è già un contenuto politico alternativo alle destre», dice Zingaretti. «L’idea del campo largo deve essere concepita non come fatto di sigle bensì soprattutto come fatto di culture politiche».

Ma è quello che lui non è riuscito a fare. Nella grande sala del Monk l’ex segretario ha rimesso insieme – almeno idealmente – la sua “Piazza grande”, il movimento interno ma soprattutto esterno al partito che nel marzo 2019 lo aveva accompagnato alla vittoria delle primarie. Una vittoria smagliante ai gazebo, che aveva travolto quella assai più risicata nel partito. Quel movimento, poi, lo stesso Zingaretti lo aveva di fatto “congelato” una volta insediatosi alla segreteria del partito – non ha neanche permesso che nascesse una corrente con quel nome –  decidendo invece di governare in accordo con le vecchie e famose “correnti”. Quelle che poi, secondo la sua versione, lo hanno portato alle drammatiche dell’aprile del 2021.

Piazza Grande era più spostato a sinistra delle agorà di Letta, ma la filosofia è la stessa. E anche l’idea di alleanze. Non è un caso che Letta ci arriva con naturalezza: «Le agorà ci rendono cittadini e protagonisti, allo stesso livello, in una grande piazza», appunto, «e partecipando si può contribuire ad elaborare progetti e idee allo stesso livello di un segretario di un partito. Se la proposta è quella giusta sarà supportata. E in primavera daremo seguito alle cento con più consenso e almeno la metà le porteremo avanti».

È quasi un congresso prima del congresso. Anzi, meglio, con le agorà Letta costruisce la sua base congressuale, sempreché voglia affrontare un congresso a tempo debito.  

Zingaretti ha smontato la sua Piazza Grande ed è finito stritolato dagli ingranaggi del partito. Vedremo se Letta farà tesoro dell’esperienza precedente. Appena eletto, aveva affrontato il tema apertamente, nel discorso di insediamento: «Sono stato uomo di corrente per tutta la vita ma così non funziona», spiegò. «Sto per diventare segretario di questo partito, ho cercato di capire la geografia interna delle nostre correnti, e forse non l’ho ancora capita: se non l’ho capita io, fidatevi che c’è un problema».

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