Così il Pd non può andare avanti. Nicola Zingaretti non è leader da frasi tonitruanti ma stavolta, chiudendo la direzione, è chiaro: «Davvero pensate che possiamo arrivare fino a ottobre con il M5s che si rifonda con Giuseppe Conte, con Salvini che usa il potere e poi bombarda il quartier generale come ai tempi del Papeete?»: «E possiamo arrivare a ottobre con un partito che il lunedì dice che si sta dissolvendo, il martedì è contro il codice appalti, il mercoledì dice che Salvini è diventato un leader europeista però abbiamo problemi con il M5s?». È un allarme: «Dobbiamo trovare un equilibrio, perché se no diventa un’altra cosa. Se il progetto politico è in discussione dobbiamo saperlo».

Il senso del discorso è più drammatico delle parole usate. Da quando è nato il governo Draghi, i continui attacchi al segretario rischiano di logorare lui ma anche tutta la compagnia. Intanto perché viene consegnata alla Lega la golden share del governo. A chi rimpiange l’identità (renziana) perduta, Zingaretti riepiloga la risalita di cui è stato regista, dal momento delle elezioni del minimo storico: «Il rischio di uccidere il partito a vocazione maggioritaria il Pd lo ha corso il 4 marzo del 2018, quando ci siamo isolati».

Ponti d’oro alla Lega

Il rischio di perdere identità è dunque ora, e grazie ai continui strappi di alcuni esponenti della minoranza (per lo più Base progressista, quella di Guerini e Lotti), «la nostra identità sarà segnata da come risponderemo a queste domande dal paese. Non c’è tregua, dobbiamo combattere in parlamento».

Invece di combattere la Lega, vengono costruiti ponti d’oro. È successo già sulla richiesta di riaprire i ristoranti la sera, poi lasciata cadere dal governo. Ieri è successo sul codice degli appalti. Cancellarlo è obiettivo di Matteo Salvini. Che stavolta può dire che «anche il Pd è d’accordo» perché il sindaco di Firenze Dario Nardella si unisce nella richiesta di «una moratoria delle norme sugli appalti pubblici». Il Pd fa muro. Il ministro Andrea Orlando parla a nuora (il leghista) perché suocera intenda (il compagno di partito): «Il Pd non chiede di cancellare il Codice degli appalti, cosa peraltro impossibile essendo in larga parte il recepimento di direttive europee. Il Pd lavora per semplificare le procedure, per ridurre il numero delle stazioni appaltanti e superare la burocrazia difensiva».

«Il codice degli appalti non si può sospendere perché si andrebbe contro le regole Ue», chiude la questione Giuseppe Busia, il presidente dell’autorità anticorruzione.

Il fatto è che nel Pd a volte sembrano saltati i fondamentali comuni. Durante la direzione Gianni Cuperlo si rivolge a Nardella che aveva dato un giudizio curioso dell’intervista di Matteo Renzi al principe saudita Mohammed bin Salman: «La scelta di genuflettere il rinascimento fiorentino alla teocrazia saudita è qualcosa di più di un fatto intempestivo».

Insomma, il Pd non può annacquare la sua identità. La questione di genere, dice Zingaretti, è questione di sostanza del programma. Tre le proposte per i primi cento giorni del governo: «La legge sulla parità salariale, rendere operativo il fondo a sostegno dell’impresa femminile, il reddito di libertà per le donne che hanno subito violenza».

Ma l’appuntamento vero è all’assemblea nazionale del 13 e 14 marzo. Dove il segretario lancerà «un dibattito libero e chiaro» ma anche vincolante sulla linea politica. Non sarà un congresso con i gazebo: da statuto «le primarie saranno nel marzo del 2023». La pandemia per ora non consente anticipi. Ma non è questa la motivazione che dà il segretario.

Zingaretti dunque cerca un rilancio. Anche per mettere la parola fine alla ridda di voci che circolano sul suo futuro.

Le voci sul Campidoglio

In questi giorni nella capitale si era tornato a sentire parlare di una sua possibile candidatura al Campidoglio. Proprio ora che i dem stavano ragionando sulla corsa dell’ex ministro Roberto Gualtieri. Sondaggi ufficiali non ci sono, ma sono in molti a essere convinti che il segretario sia l’unico in grado di vincere persino al primo turno. Ma stavolta le smentite sono arrivate dalla regione Lazio. Qui il presidente da tempo lavora all’ingresso in giunta dei Cinque stelle, cosa che dovrebbe concretizzarsi nei prossimi giorni con il conferimento delle deleghe alla grillina Roberta Lombardi. «Sarebbe strano dopo aver portato a casa questo risultato, dare le dimissioni», spiegano da via Cristoforo Colombo.

A metà marzo invece si capirà cosa vuole fare il Pd da grande. «La gestione di Zingaretti è stata accogliente nei confronti delle minoranze, ora si tratta di capire cosa deve diventare il Pd in futuro, se parte di un corpaccione centrista o come motore progressista», spiega Goffredo Bettini. E quanto al contestato (dagli ex renziani) rapporto con i Cinque stelle, è Orlando a segnalare che ha molto a che vedere con quello che succede nel governo Draghi: «Le alleanze non sono un’alchimia astratta ma il tema su come ci si colloca di fronte all’aumento delle diseguaglianze sociale». Sarebbe curioso, su temi così, non fare asse con M5s in questo governo.

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