«Se la discussione deve trascinarsi tutti i giorni in questa maniera, vale la pena iniziare un percorso che arrivi fin lì». Lì sta per il congresso del Partito democratico. A parlare è il neoministro del Lavoro Andrea Orlando, vicesegretario dem e uno dei pochi rimasti al fianco di Nicola Zingaretti nei giorni della crisi e del «o Conte o voto». Come Goffredo Bettini, che ieri ha consegnato al Foglio una lunga analisi che per molti passaggi riprende il «manifesto» del segretario pubblicato da Repubblica. Quasi lo stesso l’incipit: «L’Italia con Draghi è in buone mani». Ma mentre il segretario proponeva un congresso «a tesi», Bettini parla di «congresso» e basta. Al Nazareno la proposta viene letta come vicina al congresso «tematico». Che poi è una di quelle iniziative che nel vecchio Pci era oggetto di brocardi tipo «quando vuoi prendere tempo fai una conferenza programmatica». Se poi ne esce un nuovo «programma», resta lo stesso gruppo dirigente a interpretarlo? Insomma, dopo aver letto Bettini, e capito l’aria (anche Romano Prodi qualche settimana fa aveva parlato di congresso), Zingaretti ora medita se accettare la sfida di chi lo vuole disarcionare (per togliergli il controllo delle prossime liste elettorali) agitando il nome di Stefano Bonnaccini.

Orlando e l’alleato giallo

Un dirigente molto vicino spiega che «il segretario non ha mai detto no a un congresso per l’elezione di un nuovo segretario con il voto nei gazebo. Ne preferiva uno tematico, visto che è in corso una pandemia», «se ne discuterà in assemblea», il 13 e 14 marzo. Il punto di attacco dei nostalgici della «vocazione maggioritaria» (leggasi: niente alleanze precostituite) della corrente Base riformista e dei Giovani turchi è la coalizione con i Cinque stelle, punto spinoso, mai approvato da un congresso, tornato sensibile con la proposta di un coordinamento con le forze della vecchia alleanza giallorossa. Che invece per Dario Franceschini, leader di Areadem definisce «ineluttabile» per la forza dell’aritmetica, «se vogliamo ragionare seriamente su come andare al governo dopo le prossime politiche». Torniamo a Andrea Orlando. «A questo punto meglio iniziare questo percorso, pandemia permettendo. Per finirla con l’unanimismo negli organismi dirigenti e i distinguo del giorno dopo. Meglio un congresso perché servono risposte in vista dei prossimi passaggi politici», si riferisce alle amministrative, «e anche per dimostrare la strumentalità della contrapposizione fra identità e alleanze. L’identità si costruisce anche attraverso l’indicazione di un campo di alleanze». E se è vero che le alleanze locali si decidono nelle città, «non si può vivere in questa eterna condizione in cui l’alleanza con i Cinque stelle viene rappresentata come mero stato di necessità. Dove si farà deve essere percepibile che riproduce uno schema nazionale». Se ne discuterà alla prossima assemblea. In quell’occasione verrà proposta anche una vicesegretaria da affiancare a Orlando, che non si dimetterà.

Direzione donne

Giovedì 25 intanto è convocata la direzione Pd con all’ordine del giorno «l’affermazione di un partito di donne e uomini». La questione femminile è esplosa dopo la nomina della delegazione di ministri: tre, uomini e capicorrente. Zingaretti avrebbe intenzione di proporre Cecilia D’Elia, portavoce delle donne dem, come sua vice, al pari di Orlando. Ma la discussione si intreccia – e mal si incastra – con quella delle correnti: D’Elia è vicina a Zingaretti da decenni, sin dai tempi della presidenza della provincia di Roma. Quanto al governo, c’è chi chiede un riequilibrio di genere nella delegazione dei sottosegretari. «Non dobbiamo cedere alla tentazione tutta dentro i metodi patriarcali di dover sistemare i fedeli», «è svilente, per tutti e tutte», scrive Mapi Pizzolante, giovane femminista dem.

Nel frattempo circolano le liste con i nomi proposti dal Pd: dodici donne e tre uomini. Fra questi, Chiara Gerbaudo, giovane turca, che ieri si è dichiarata indisponibile «finché il Pd non convocherà una direzione per discutere di parità». Un deputato vicino al segretario sbuffa: «Che tristezza, stanno trasformando anche la giusta battaglia delle donne in una lotta di corrente, quella di Orfini contro Zingaretti. Deputate che hanno taciuto quando Renzi ha usato le pluricandidature delle donne per far eleggere maschi, o trasformavano le donne in “mamme”». Ora la direzione è convocata. Ma i sottosegretari saranno nominati prima, forse già nel consiglio dei ministri di lunedì.

Gualtieri al Campidoglio

Ieri un’altra vicenda ha fatto innervosire il Nazareno. Per qualche minuto su facebook è comparsa una pagina di lancio della candidatura a Roma dell’ex ministro Roberto Gualtieri. Con due simboli: quello del Pd e quello dei Cinque stelle. Rapidissimo, il Pd ha denunciato alla polizia postale il «fake». Si tratta di un gesto velenoso, una provocazione, forse all’indirizzo di entrambi i partiti, tanto più che M5s sostiene la sindaca Virginia Raggi, anche se senza slanci di entusiasmo da parte dell’ala governista. Ma nel Pd resta aperta anche una «questione romana». Gualtieri sarebbe disponibile alla corsa, purché sia «costruita bene», spiega chi ci parla. Ma per «costruirla bene» serve ragionarci su, nella coalizione cittadina e anche al Nazareno. Carlo Calenda ribadisce che non si ritirerà. Un sondaggio pubblicato due giorni fa da Domani descrive questa condizione come la migliore per mandare al ballottaggio Raggi e il candidato della destra.

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