«Comunque vada, non torneremo indietro. Le ragioni fondative delle primarie non sono venute meno». Enrico Letta è ancora a Barcellona, al Foro Italia-Spagna, quando manda via social un messaggio di ringraziamento ai volontari «che stanno lavorando per rendere possibile che domani a Bologna e Roma migliaia di cittadini partecipino alle primarie. Ai critici di questa nostra preferenza per la partecipazione dico che noi siamo fatti così. E, su questo, non cambieremo». Si cercano buoni sindaci per due città, ma non è tutto. Il segretario in questi giorni ha seguito il dibattito sulla fine della spinta propulsiva dei gazebo. Sa che dopo il ”flop” di Torino – meno di 12mila voti, una penuria che lui ha definito «risultato positivo» – se a Roma e Bologna non va meglio, la discussione esonderà dalle pagine dei quotidiani e dai social e investirà il gruppo dirigente dem. O meglio lui. Ma la sua convinzione «non cambia»: l’idea di «dare la voce ai territori, ascoltare, legittimare dal basso un candidato» resta ancora «la via maestra». Dalla quale, è il ragionamento, si è cominciato a deflettere quando le primarie sono state fatte per scalare il partito e per combattere guerre di potere, insomma dagli anni della ascesa di Matteo Renzi. Nel 2005, alle primarie vinte da Prodi, i confini della coalizione erano chiari, da Clemente Mastella a Fausto Bertinotti. Oggi questi confini sono incerti e da ridefinire. La coalizione con cui Prodi ha vinto due volte contro il centrodestra non esiste più. Di fatto i due capofila di due piccole formazioni moderate, Renzi e Carlo Calenda, oggi sarebbero fuori da un eventuale alleanza che guardasse ai Cinque stelle. A Roma non partecipano alle primarie.

A Bologna la candidata Isabella Conti, renziana che non vuole essere definita così, esclude patti con il M5s. E si è concessa il lusso di polemizzare con Romano Prodi, che sulle primarie aveva usato parole pulp («deve scorrere sangue»). Il suo avversario, l’assessore “movimentista” Matteo Lepore, amato dalle sardine, ha già scelto come vice la “civica” Emily Clancy. Ha l’appoggio di Letta ma anche di Giuseppe Conte, che ha fatto strillare al «voto inquinato» dagli esterni. Quarantatré seggi, dalle 8 alle 21. Meno di duecento persone iscritte al voto online. Se Lepore perdesse da Bologna partirebbe un’onda anomala verso la segreteria nazionale del Pd. Ieri sera è arrivato un altro endorsement significativo, quello di Federico Martelloni, l’economista civico e molto di sinistra che ha inquadrato definitivamente il senso della partita nazionale che si gioca sul campo cittadino: «Le primarie bolognesi ricordano le palestre delle scuole, coi canestri da basket sui lati corti e la rete da pallavolo al centro: due giochi diversi in due campi diversi. Benché nel medesimo luogo. Vi si confrontano due idee non solo diverse ma, in certa misura, persino opposte di città, di contorni e profilo della coalizione che dovrà misurarsi con le destre nelle amministrative». Di fatto Martelloni invita anche la sinistra extra coalizione a votare Lepore.

L’affluenza nella capitale

Letta voterà (Gualtieri) oggi alle 17 nel circolo dove è iscritto nel quartiere Testaccio. Il dato dell’affluenza della capitale darà cassazione sullo stato di salute del partito. Le primarie sono state «silenziose» (copy Imma Battaglia, Liberare Roma), Gualtieri è il «candidato unico del Pd» e il predestinato. Lo spareggio è fra gli sfidanti: Giovanni Caudo, presidente di municipio, ex assessore di Ignazio Marino che è tornato in città dagli Usa per dargli una mano. Ieri circolava voce che anche Carlo Calenda gli stesse dando una mano via sms. Si gioca il secondo posto con Imma Battaglia, attivista Lgbt ed ex consigliera comunale, ma anche il consigliere regionale Paolo Ciani ha alle spalle una coalizione sociale (Demos, la sua lista, viene dalla comunità di Sant’Egidio). Ci sono anche il giovane attivista Tobia Zevi, da un anno in campagna elettorale, il deputato di Leu Stefano Fassina e Cristina Grancio.

Il risultato verrà aspettato a via dei Cerchi, vicino al fu «loft» del Pd dei sogni veltroniani. Ieri si scrutava il cielo di domenica, sugli smartphone. Pomeriggio nuvolo, forse i romani (democratici) non andranno al mare. Centonovanta seggi (cercarli è un gioco su www.tunoiroma.it) si chiude alle 21, solo 3mila iscritti online. I 50mila votanti indicati alla vigilia sembrano inarrivabili. Una vigilia peraltro infelicitata da un sondaggio di Swg commissionato da Calenda e pubblicato dal Corriere della Sera che dà il candidato della destra Michetti avanti (30-34 per cento), Gualtieri secondo (27-31), Calenda dietro (20-24), poi la sindaca Virginia Raggi (13-17). Fra i dem in molti sono scettici: Calenda e Gualtieri insieme sommerebbero dal 47 al 53 per cento, quasi venti punti in più della destra? Comunque Gualtieri sa che, vinte le primarie con una campagna noiosetta, non avrà affatto la vittoria in tasca. Ma di sconfitta neanche a parlarne. Peraltro si abbatterebbe di più sul segretario, che a lungo ha combattuto per la corsa di Nicola Zingaretti, il presidente della regione sempre più osannato per la gestione delle vaccinazioni.

Sfilare voti a Calenda

Gualtieri sa che deve attaccare Calenda e non farsi schiacciare sul lato sinistro. Con i suoi consiglieri ha capito che è al leader di Azione che deve sfilare più voti possibile. È l’unico con cui può alzare i toni fino allo scontro diretto, politicamente parlando. Non può con Virginia Raggi, i cui elettori poi dovrà cercare di blandire per il ballottaggio.

E poi c’è la sinistra civica. Ieri Gualtieri ha chiuso la corsa nella piazza di Garbatella, quartiere popolare, roccaforte del presidente Amedeo Ciaccheri (candidato unico della coalizione in quel municipio, l’VIII) e dell’eurodeputato Massimiliano Smeriglio, cuore territoriale del movimento Liberare Roma. Battaglia invece ha chiuso a Cinecittà con Sandro Luparelli, leader di movimento in corsa per il municipio. Curiosa scelta, molto gauchiste, quella di Gualtieri. I suoi spiegano che è stata fatta per sostenere la partecipazione in un municipio che non ha la sfida per il presidente. Ma forse anche per finire in un porto sicuro una campagna che fin qui non ha ancora dato grandi gioie.

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