L’isola che non c’è più, ritorno a Lampedusa con l’ex sindaca Nicolini

Lampedusa – Tra sabato 18 e martedì 21 ottobre almeno dieci persone sono morte al largo di Lampedusa. Tre sono sbarcate sul molo Favolo, sette sono state portate direttamente a Porto Empedocle. Per quanto si cerchi rendere invisibili gli sbarchi sull’isola e in Italia, questi non si fermano. E Lampedusa lo sa: ci fa i conti, e vive come quotidianità questo afflusso con la paura che possa colpire il turismo, nonostante sia evidente che non è così. Ogni anno cresce la pressione turistica sulla piccola isola, punto di frontiera dell’Italia e dell’Europa con il Nord Africa. L’hotspot non si svuota mai: nei giorni delle morti c’erano circa 900 persone, nonostante la capienza sia di 400. Ma se non sei al porto quando arriva lo sbarco, non ti accorgi di nulla. Il sistema militare voluto dagli isolani e approvato dai vari governi è efficiente, e la chiusura dell’hotspot, in entrambe le direzioni, fa sì che non ci sia contatto né scambio tra popolazione locale, turisti e migranti. Abbandonati alla malavita: l’abisso dei ragazzi migranti Sull’isola non c’è un ospedale e quindi spesso non si possono curare le persone che arrivano sfinite, e nemmeno chi abita l’isola. Lo Stato investe in forze di polizia e non in medici. A Lampedusa non si può nemmeno partorire. L’isola non è certo quella che vorrebbe Giusi Nicolini, ex sindaca di Lampedusa, che ha lasciato la politica istituzionale per muoversi in maniera più movimentista, con migrazioni e diritti umani come focus principale. L’abbiamo incontrata in una domenica di ottobre, e lei racconta i dettagli dello sbarco del mattino: due morti e ventitré feriti gravi per inalazione di idrocarburi, portati al poliambulatorio. Racconta come sia cambiata la gestione degli sbarchi negli ultimi anni: «C’è l’invisibilità dei migranti sull’isola, che è una novità partita dal tempo del Covid, quando le persone che arrivavano che sbarcavano erano prima rinchiuse nelle navi quarantena, e poi con la scusa del Covid hanno reso invalicabile la recinzione del centro. Da lì nessuno entra, per cui è un fenomeno degli sbarchi, degli arrivi, degli approdi, ormai invisibile a chiunque, ai turisti e ai lampedusani. Nonostante i numeri continuino a essere alti, non ci sono i numeri del 2014 e del 2015, però non si è mai fermata, neanche durante il periodo dei porti chiusi di Salvini, che è stato solo un proclama». Mediterraneo, 33mila morti in dieci anni: i «mai più» che ci hanno portato fin qui L’isola della speranza La mancanza di contatto con chi arriva ha modificato culturalmente l'isola per Nicolini: «Lampedusa non può più fare quel salto di qualità. Il sentimento di accoglienza deve diventare un’opzione anche culturale, e questo può avvenire soltanto se si incontrano le persone, se si condivide con le persone che arrivano un pezzo di giornata, un pezzo di vita. Questo non è più possibile qui». Riguardo al sentimento razzista sull’isola, Nicolini osserva: «Io vedo che molti apprezzano il fatto che siano diventati invisibili gli sbarchi. Io invece voglio vederli e voglio che loro li vedano, che i turisti li vedano, che Lampedusa diventi un luogo in cui passare le vacanze, in uno dei posti più belli del Mediterraneo con il mare bellissimo, che però è anche cimitero, che però è anche teatro di una delle più grandi ingiustizie del nostro tempo. Cioè che la vacanza a Lampedusa possa diventare anche un’occasione per capire un po’ di più il tempo che stiamo vivendo. Questo è per me un privilegio, cioè essere in un luogo così e essere in un luogo privilegiato, non un luogo disgraziato». Quelle bare lasciate al sole. A Lampedusa non esiste una camera mortuaria per accogliere i corpi dei naufraghi Il dibattito sull'isola è acceso, e se lo stimoli le persone parlano e ne parlano. C'è chi non vorrebbe riformare l'idea di accoglienza ma superarla «perché ogni persona dovrebbe avere la possibilità di muoversi liberamente ed in maniera sicura» e c'è chi invece dice «questa è sempre stata un'isola di migrazione ma i migranti non devono pregiudicare gli interessi di chi ci vive». Nel porto, mentre al molo Favaloro, si gestisce l'ultimo sbarco c'è chi sta lavorando sul suo barchino. La stagione turistica è finita e quindi si torna in mare a pescare, e c'è il tempo per lasciarsi andare. E poi c'è sempre lei, l’ex sindaca, che si lascia andare al doloroso ricordo del 3 ottobre 2013: «Mi viene in mente ogni attimo. È stato un periodo di grande angoscia, il recupero dei corpi è durato a lungo, c’erano i corpi imprigionati nella stiva a più di 50 metri di profondità. Nei primi momenti sono stati di incredulità, ma in fondo lo sapevo». Troppi morti, 368,quel giorno e Nicolini ricorda «poi c'è ne sono stati altri 40.000. E quelli di prima, quelli che hanno spinto Papa Francesco a venire qui l’8 luglio 2013. Quindi vivere a Lampedusa, essere di Lampedusa, significa fare conti con questo e avere questa consapevolezza, cioè che non è possibile andare avanti così, che così si producono altre decine di migliaia di morti». Mediterranea e il cortocircuito del “sovranismo giuridico” del governo