Dunque, quasi ci siamo: mancano pochi giorni voto negli Stati Uniti – anche se in tanti, tantissimi, hanno già votato. Eppure, in Europa tutti gli occhi rimangono puntati verso l’esplosione delle infezioni nel Vecchio continente, e pare che in pochi si siano accorti che qualcosa di simile sta accadendo oltreoceano.

D’altronde, dopo il contagio e la guarigione lampo di Donald Trump, anche il presidente americano sembra essersene quasi dimenticato, tanto che nell’ultimo dibattito prima del voto è tornato a escludere la possibilità di misure più stringenti.

E invece è così: l’America va al voto a nuova ondata in corso.

La terza ondata

Parrebbe strano, perché a guardare i dati aggregati gli Stati Uniti una seconda ondata l’avevano registrata già a luglio, quando la curva dei contagi era tornata a salire. Ma a guardar bene a luglio la curva americana era risalita per un motivo diverso: si trattava, in molti casi, di una prima ondata posticipata in quegli stati in cui tra marzo e aprile le infezioni erano rimaste più contenute. Adesso, invece, la marea delle infezioni d’autunno si abbatte anche sull’America.

Difficile dire se ciò possa riverberarsi sul voto. In fondo l’impennata attuale sembra troppo recente per portare il numero di decessi giornalieri ben oltre il già elevato livello attuale (circa 800 al giorno). Tanto che il numero di americani che si dichiara “molto preoccupato” per la pandemia è sceso dal 37 per cento di fine luglio al 30 per cento di oggi.

Minimizzare, sempre

Sarà forse l’intera gestione della pandemia a pesare sulle spalle di Trump. Gestione che si può riassumere con tre parole d’ordine: minimizzare, negare, cercare capri espiatori.

Continuando a farlo anche quando i compagni di sventura che avevano inizialmente sottovalutato la portata del nuovo Coronavirus si sono dovuti ricredere, adottando misure più stringenti (Boris Johnson nel Regno Unito), o hanno dovuto fare i salti mortali per continuare a giustificare la loro narrazione menefreghista (Jair Bolsonaro in Brasile).

Ha funzionato? Dal punto di vista sanitario sicuramente no, e per capirlo sono sufficienti un paio di numeri.

Basta infatti qualche calcolo per scoprire che, da inizio pandemia a oggi, nella vecchia Unione europea a 28 (Regno Unito compreso) si sono registrati 385 decessi Covid per milione di abitanti, mentre negli Stati Uniti i decessi sono stati 690 per milione. Quasi il doppio.

Un divario che appare ancora più netto se si considera che il 21 per cento degli abitanti europei ha più di sessantacinque anni, mentre negli Stati Uniti gli ultrasessantacinquenni sono il 17 per cento. Malgrado le due percentuali appaiano vicine si tratta di una differenza non da poco, perché abbassa di parecchio la letalità prevista di un virus che uccide in maniera esponenzialmente maggiore le persone anziane.

Per farla ancora più semplice, è come dire che negli Stati Uniti i contagi probabili sono stati più del doppio che in Europa, con ovvie e drammatiche conseguenze in termini di decessi.

Resta da capire se la strategia abbia funzionato almeno a livello politico. Verrebbe da rispondere che non è facile dirlo, perché in un paese che sta vivendo uno dei periodi più polarizzati della propria storia è probabile che ci si continui a schierare con chi rappresenta la propria parte politica, anche a prescindere dal suo operato. E, d’altronde, molti elettori repubblicani non hanno un’idea precisa di come valutare Trump sulla sua risposta alla pandemia.

Tutti preoccupati

Assieme al presidente si dichiarano scettici sull’utilizzo delle mascherine in pubblico, ed è probabile che non si aspettassero azioni molto diverse dal proprio commander in chief. Tanto che la percentuale di americani che oggi si dichiara molto preoccupata per lo stato dell’economia (53 per cento) è quasi doppia rispetto a quella che si dichiara preoccupata per l’andamento delle infezioni (30 per cento).

Tuttavia, a vedere i sondaggi, sembrerebbe che della débacle sanitaria gli americani si siano in effetti accorti: se ad aprile le rilevazioni davano ancora un testa a testa tra chi approvava e chi bocciava l’operato del presidente nel fronteggiare la pandemia, con il passare dei mesi il divario si è fatto rapidamente più ampio, tanto che oggi il 57 per cento degli intervistati pensa che Trump stia fallendo.

Un giudizio politico, prima ancora che sanitario, che però non è ancora chiaro quanto possa pesare sulle intenzioni di voto. Perché, come accade in Europa, anche in un’America così divisa non basta la peggiore emergenza sanitaria dell’ultimo secolo per rimettere tutti d’accordo.

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