Il Global Health Summit del 21 maggio è evidentemente fondato sull’ambizione. Ambizione per l’Italia, per la presidenza G20 e per il ruolo che Roma intende svolgere all’interno dell’architettura europea e multilaterale. Ambizione per l’Europa, co-promotrice dell’iniziativa, ora impegnata in uno dei momenti più delicati della gestione pandemica: dimostrare di poter raggiungere gli obiettivi vaccinali. Ambizione per il sistema multilaterale, sottoposto a uno shock sistemico, politico e infrastrutturale che da tempo non sperimentava.

La presidenza italiana del G20 non sarebbe potuta capitare in un momento più complicato ma al contempo ricco di grandi opportunità. In primis il successo o insuccesso dell’implementazione del Recovery fund determinerà il futuro dell’Italia in Europa e, come conseguenza diretta dell’allocazione dei fondi, del progetto europeo stesso. È una questione innegabile con cui decisori politici europei, soprattutto tedeschi e francesi, dovrebbero necessariamente cominciare a confrontarsi, accettando la centralità di Roma in questa fase delicata dell’Europa. Segue poi la consistenza politica del governo Draghi, la cui fragilità della composizione della coalizione governativa è in evidente contrasto con la solidità internazionale del leader di governo. Questi due elementi, centralità del Recovery plan e massa critica politica del premier, mettono l’Italia al centro di un ambizioso gioco di ricollocamento a livello europeo e multilaterale e di discontinuità con i precedenti trend. Cina e Russia sono ora declassificati a partner mentre il ruolo di alleato è detenuto da due attori recentemente reinventatisi: gli Stati Uniti, ridefiniti dalla nuova presidenza Biden e il nuovo ordine multilaterale rimodellato dalla crisi pandemica.

La crisi d’Europa

L’Ue, co-promotrice dell’iniziativa, esce da 14 mesi di crisi politica, economica e identitaria. Una crisi domestica politica che ha visto la tradizionale infiltrazione cinese, russa e turca in Europa assumere forme comunicative e di azione completamente nuove, diverse ma sempre efficaci; dove il concetto di solidarietà europea ha inizialmente vacillato in nome di interessi e incapacità nazionali; una crisi della cittadinanza europea sentitasi abbandonata e che sempre più facilmente guarda alla semplificazione politica realizzata per slogan. Questa crisi ha tuttavia trovato del Next generation Eu, tappa miliare del processo europeo, un faro strategico con un potenziale senza precedenti. Lontano dall’essere perfetto, è innegabile, anche agli occhi della fronda euroscettico-populista, come esso costituisca un pilastro senza precedenti per la costruzione ex novo di una sovranità strategica paneuropea e non a trazione esclusiva del motore franco-tedesco che nel 2021-2022, come conseguenza degli importanti appuntamenti elettorali di Parigi e Berlino, rischia di ridursi a una dinamo a pedalata.

Multilateralismo fragile

Infine, l’ordine multilaterale, colpito dalla pandemia nelle infrastrutture decisionali, nella sua credibilità politica e oggi al centro del vortice della competizione tra grandi potenze sempre più difficili e sempre meno aperte al confronto, ormai non più dialogo, con l’Ue. La Cina, con cui la conversazione su temi climatici sembrava una volta possibile, è oggi presa dallo scontro tecnologico e di principi universali con gli Stati Uniti; la Russia putiniana, con cui il dialogo è ormai solo in salita attraverso l’esclusività del filtro dei dossier bielorusso e ucraino; la Turchia del sultano Erdogan, ormai divenuta elemento determinante di equilibrio di troppe crisi europee e del vicinato europeo.

Episodi di dissociazione tra Cina e Stati Uniti, politiche di ricollocamento produttivo e ambiziose rappresaglie attraverso dazi commerciali rischiano di ridimensionare un contesto di globalizzazione che sembra ormai sempre più regionalizzato. Preoccupazioni di interferenze cinesi nella tecnologia stanno portando Ue e Stati Uniti a creare le proprie bolle di sovranità legate al mondo digitale ed alle telecomunicazioni. L’organizzazione mondiale del commercio è virtualmente paralizzata, soffocata dai veti Usa sull’organo giudicante, l’Appelate Body.

Fattore Italia

In questa cornice tridimensionale, il Global Health Summit non assumerà certamente il ruolo chiarificante che molti vorrebbero né avrà una funzione salvifica, nonostante la recente proposta di Biden sulla liberalizzazione dei brevetti dei vaccini. Gli ostacoli alla corsa sono troppi. Ma soprattutto, la disomogeneità del ritmo di corsa dei vari membri facenti parte della batteria di partenza è davvero troppo evidente.

Tuttavia, il summit di Roma potrebbe avere la giusta chiave di svolta: il fattore inaspettato. Probabilmente nessuno si sarebbe mai aspettato di vedere in prima linea l’Italia, che da centro del Mediterraneo il 21 maggio diventerà catalizzatore multilaterale di istanze e proposte per avanzare un’agenda capace di gestire le crisi future in maniera strutturale e proattiva. Come nessuno avrebbe mai ipotizzato un motore italo-europeo, e non solo franco-tedesco, dopo anni di graduale allontanamento italiano dal pilastro euro-atlantico in nome di alleanze ad hoc. Infine, nessuno si sarebbe mai aspettato di vedere clima, sicurezza sanitaria e infrastrutture così geopoliticamente interconnessi e interdipendenti. L’auspicio del summit di Roma dovrebbe essere dunque quello di costruire un nuovo modello di gestione strategico-multilaterale di tali dossier. Questo affinché l’Europa in futuro si trovi finalmente tra le prime file delle batterie di partenza.

© Riproduzione riservata