Rivolta Gen Z in Madagascar: «Democrazia da conquistare»

«Miala Rajoelina», ovvero «Rajoelina vattene». È il grido dei Gen Z del Madagascar che dal 25 settembre protestano contro il presidente Andry Rajoelina. Alla fine se ne è andato per davvero con un aereo militare francese dopo che una parte dell’esercito si era unito «ai fratelli e alle sorelle malgasce». Guidati dal colonnello Michael Randrianirina, i militari hanno annunciato di aver preso il potere destituendo il presidente che al momento si trova in una località sconosciuta. Il paese è entrato così in una fase di transizione politica e i giovani malgasci sperano di veder soddisfatte le loro richieste. Marocco in fiamme, i giovani sfidano il potere nel regno Il Madagascar è il paese più giovane del continente africano, con più di otto milioni di persone tra i 15 e i 28 anni. Sono loro che hanno guidato il popolo in rivolta radunandosi tramite i social media. La polizia ha represso le manifestazioni con la forza, uccidendo nei primi giorni 22 persone. Rajoelina aveva cercato di placare gli animi nominando un nuovo primo ministro, il generale Ruphin Fortunat Zafisambo. Una risposta non ritenuta adeguata dal popolo. Le proteste del Madagascar seguono quelle del Nepal, del Marocco, del Perù e di tanti altri paesi in cui la Gen Z si sta ribellando alla corruzione e alla mancanza di possibilità. Giovani che guidano una rivoluzione culturale al di fuori dei propri confini nazionali, coinvolgendo milioni di persone. «Quello a cui stiamo assistendo non è caos, è un risveglio. I giovani hanno deciso di ribellarsi contro un sistema politico che li ha delusi», spiega a Domani Ketakandriana Rafitoson, ex direttrice esecutiva di Transparency International Madagascar e coinvolta attivamente nelle rivolte. Dopo il «risveglio» ora al Madagascar, così come al Nepal, spetta il compito più difficile: ricostruire. Adesso che lo slancio rivoluzionario si placherà, ci si chiede se saranno in grado di confrontarsi davvero con le proprie potenzialità. Dal Nepal al Madagascar, l’urlo della Generazione Z dietro le proteste globali Un’unica voce, un nuovo futuro I Gen Z in dieci paesi diversi protestano con lo stesso nome e sotto le stesse bandiere. Un’intera generazione che sembra aver trovato il proprio linguaggio. «Per anni, il mio popolo si è sentito impotente, convinto che non ci fosse via d'uscita», racconta a Domani Michael Steven, uno dei leader della rivolta malgascia, «poi abbiamo visto il Nepal e abbiamo capito: la voce dei giovani può essere potente e il cambiamento è possibile. Da quel momento siamo scesi in piazza per lottare per il paese e il futuro che meritiamo». È la frustrazione ad accomunare questi giovani che si sentono privati delle proprie possibilità: «I Gen Z sono i primi a sentire il peso del crollo dei sistemi» dice Rafitoson, «eppure gli viene detto di aspettare il loro turno». Le piazze degli adolescenti non prendono fuoco per ideologia ma per mancanza di futuro. Stanno chiedendo l’occasione di costruirselo. Sta nascendo così una nuova forma di partecipazione politica, più collettiva e orizzontale. «Loro credono che la democrazia debba essere vissuta, non promessa. Un cambiamento lento ma inesorabile», conclude Rafitoson. Africa, Asia e America Latina non si stanno mobilitando per inserirsi nel sistema, ma stanno andando oltre il concetto tradizionale di politica. «Osservando i movimenti dei giovani in tutto il mondo è chiaro che la nostra generazione è diversa», dice a Domani Shely, una delle leader della protesta di Antananarivo. «Rifiutiamo la falsa scelta che ci viene offerta tra questo sistema o il caos. Non vogliamo che ci venga imposta una realtà, siamo in grado di costruire un mondo nuovo». La rabbia della Gen Z travolge il Nepal: almeno 22 morti e 400 feriti. Bruciati il parlamento e le sedi dei partiti I social La chiave di volta di queste manifestazioni sono i social, «una nuova forma di linguaggio politico che il regime non capisce: pacifica, intelligente e inarrestabile», come dice Steven. Una forma di partecipazione digitale che trova poi corpo nelle piazze. «Passiamo più tempo sui social media, ma abbiamo trasformato questo aspetto in uno dei nostri maggiori punti di forza», spiega Olivia Rafetison, del gruppo Taninjanaka Free Madagascar, tra i primi a mobilitare il paese contro il governo. «Il digitale è uno strumento per rivendicare i nostri diritti e scuotere l'intero sistema». Come raccontano i tre giovani attivisti malgasci, senza i social non solo sarebbe stato impossibile organizzarsi ma anche prendere consapevolezza dei problemi collettivamente. Dal Nepal a Gaza, One Piece diventa icona di resistenza Non è solo una questione di acqua ed elettricità, come vorrebbe far credere il presidente Rajoelina. «Chiediamo dignità politica» dice Steven, «il mondo sta sanguinando in tanti modi e dovremmo reinventare il nostro modo di agire, ovunque. Non è un problema malgascio ma umano. Occorre riconquistare la democrazia», dice Steven. Mentre il mondo osserva, la Gen Z guida la rivoluzione globale: «A tutti i giovani che si sentono senza speranza di fronte al sistema voglio dire: la vostra voce è potente», conclude Shely. «In Madagascar abbiamo cambiato tutto. Questo succede quando i giovani si uniscono, alzano la voce e hanno il coraggio di riprendere il potere. Non sottovalutate mai la forza della vostra voce».