È questo il momento per capire se esiste una via di uscita diplomatica alla crisi ucraina. Emmanuel Macron lo sa e fa una scommessa: in un solo colpo, prova sia a intestarsi il merito dell’iniziativa che a restituire uno spazio di manovra europeo in una partita diplomatica gestita finora da Washington e Mosca. Il margine c’è, ma è molto stretto. A suggerirlo è non solo la posizione della Russia, ma anche l’esito delle intense trattative che, a Parigi, hanno preceduto la telefonata prevista per venerdì mattina tra Macron e il presidente russo Vladimir Putin.

Serve una «désescalade»

La linea telefonica, e diplomatica, tra i due presidenti si aprirà attorno alle 10:45 di venerdì; alla vigilia intanto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha sentito Joe Biden.

Macron, che oltre alla presidenza francese ha ora anche la presidenza di turno del Consiglio Ue, vuole proporre a Putin un percorso di «désescalade», e cioè di de-escalation. Si tratta di allargare il varco per la diplomazia in un momento cruciale. Questa è infatti la settimana in cui sia la Russia, sia gli Stati Uniti e l’alleanza atlantica, hanno offerto prove muscolari fino a rendere concreta la possibilità di un conflitto militare alle porte d’Europa.

Non ci sono solo i 100mila soldati russi a ridosso dell’Ucraina e gli 8.500 statunitensi allertati di conseguenza. Per il prossimo mese Mosca ha previsto un’«esercitazione» militare in prossimità dell’Ucraina, in terra bielorussa, dove già ora le sue truppe contano sul supporto politico e logistico dell’alleato Aleksandr Lukashenko. In questi giorni ci sono state manovre anche a sud della Russia e in Crimea. I rifornimenti militari arrivati dagli Usa a Kiev e i preparativi sul versante Nato servono a mostrare la prontezza di reazione. Per Wendy Sherman, la vicesegretaria di Stato Usa impegnata sul dossier, «ogni segnale ci suggerisce che Putin prossimamente userà la forza militare». La cosa è «imminente, e con “imminente” intendiamo “imminente”», dice la Casa Bianca sui tempi.

Le carte sul tavolo

In questo contesto si è aperta mercoledì sera una finestra di opportunità per la diplomazia. La Nato e gli Stati Uniti hanno infatti consegnato, per iscritto come Mosca aveva chiesto, le loro risposte alla posizione della Russia. Putin pretende sia di frenare le nuove adesioni alla Nato che le attività dell’alleanza nell’est Europa. John Sullivan, l’ambasciatore Usa a Mosca, ha consegnato a mano la risposta al governo. La Nato l’ha fatta recapitare all’ambasciata russa a Bruxelles. Le due risposte, i cui testi sono riservati, sono coordinate nei contenuti, condivisi con Kiev prima dell’invio.

Anzitutto, le risposte occidentali ribadiscono la politica della «porta aperta»: se uno stato desidera entrare nella Nato, non gli verrà impedito di fare richiesta; dopodiché, come sempre, servirà il consenso dei trenta membri dell’alleanza. Anche se un ingresso di Kiev non è affatto dietro l’angolo, gli alleati respingono al mittente i veti di Mosca. Come riferisce il segretario Jens Stoltenberg, alla Russia viene chiesto «il ritiro delle truppe da Ucraina, Georgia e Moldavia». Lo slancio diplomatico si vede dall’invito a sforzi condivisi per un assetto di pace, e dal tentativo di incanalare il dialogo anche sul controllo delle armi, la trasparenza e la riduzione del rischio.

Il Cremlino prende tempo per la risposta: va analizzata bene, fa sapere, dopodiché sarà il presidente in persona a replicare. Ma i messaggi fatti filtrare nell’immediato sono pessimistici. «Non è arrivato nessun segnale positivo sulla questione principale», ha commentato il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, facendo riferimento «alla nostra posizione: siamo fermamente contrari a un’ulteriore espansione della Nato a est, e al posizionamento di armi offensive che potrebbero minacciare la Russia».

I segnali arrivati giovedì, anzitutto dagli Stati Uniti ma pure da Berlino che era la più reticente a riguardo, circa l’ipotesi che anche il gasdotto Nord Stream 2 possa pagare i costi di una politica aggressiva di Mosca, servono proprio a far capire alla Russia che il dialogo serve.

Il ruolo di Parigi

Macron vuole ritagliarsi un proprio ruolo in questo tentativo di dialogo. Anzitutto, anche se riconosce che Mosca ora è una «potenza di disequilibrio», il presidente francese pensa che con la Russia si debba interloquire, il che lo avvicina, in Ue, più all’approccio pragmatico tedesco e italiano che a quello intransigente di Polonia e paesi baltici, quelli cioè che patiscono di più la minaccia russa.

Inoltre, visto che la Francia ha la presidenza di turno in Ue, l’Eliseo approfitta di questa veste per scardinare la logica binaria del dialogo Usa-Russia. Per Macron, anche l’Europa deve rientrare, con una propria autonomia, nella dinamica negoziale, dalla quale finora è rimasta marginalizzata. Un primo segnale positivo è il riavvio questa settimana, proprio a Parigi, del “formato Normandia” – Ucraina, Russia, Germania, Francia – avviato nel 2014 proprio per la crisi ucraina ma interrotto dal 2019. I consiglieri diplomatici dei quattro paesi in questione si sono confrontati per tutto l’inizio di settimana, ma ne sono usciti mercoledì senza svolte decisive. Ora tocca a Macron fare buon uso della linea aperta con Putin, altrimenti si torna alla “Normadia” entro due settimane, stavolta a Berlino.

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