Alla vigilia di una cruciale telefonata tra Joe Biden e Vladimir Putin, e nello stesso giorno in cui la crisi ucraina era oggetto di una videochiamata tra il presidente Usa, Mario Draghi e altri tre leader, Luigi Di Maio dialogava con il ministro dell’Industria di Mosca, alla presenza di imprese italiane e russe; tra i temi, quello dell’energia. Il ruolo «distensivo» dell’Italia nei confronti di Mosca va ben oltre l’epoca berlusconiana del lettone di Putin, o quella più recente – ottobre 2017 – del copripiumino regalato da Silvio Berlusconi al presidente russo per il suo 65esimo compleanno, con tanto di stretta di mano stampata sopra. Anche con il governo Draghi, e nel pieno della crisi ucraina, Roma sostiene la linea del «dialogo».

Nel 2014, quando premier era Matteo Renzi, che ora da «senatore semplice» è nel consiglio di amministrazione di una società di car sharing russa, Delimobil, Mosca si è presa la Crimea e Roma ha cercato di frenare o di smorzare gli zeli europei in fatto di sanzioni. Oggi, in questo snodo della crisi, con Biden che come monito parla di «sanzioni personali» a Putin, per la Farnesina è prematuro anche solo avere una posizione sul tema.

Incontri e crisi ucraina

Dalla primavera 2021, complice la credibilità del premier Draghi e la fase di presidenza italiana del G20, l’Italia è tornata nel “Quint”, una cornice di dialogo che tiene insieme Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito. Ma Roma non ha mai rinunciato alla stretta cooperazione con la Russia, neppure nei momenti più tesi di questa crisi ucraina. Anzi, finché il contesto non ha reso la cosa troppo stridente, Draghi ne ha ridimensionato la portata, e pure la possibilità di reazione per l’Europa. Il 6 dicembre Di Maio era a copresiedere, assieme a Denis Manturov che è il ministro russo di Industria e commercio, il consiglio italo-russo per la cooperazione economica, industriale e finanziaria (il “Circeif”). La sessione plenaria si è tenuta alla Farnesina, ed è stata preceduta da un’altra riunione: quella del comitato imprenditoriale italo-russo (il “Ciir”), presieduto per l’Italia da Marco Tronchetti Provera, l’ad di Pirelli, e per la Russia da Dmitry Konov, presidente del cda di Sibur Holding, il colosso petrolchimico nel quale si è arricchito il cerchio magico di Putin, compreso il suo ex genero Kirill Shamalov. A partecipare, «tante realtà istituzionali e imprenditoriali italiane e russe, che hanno preso in esame le numerose opportunità del partenariato bilaterale nei settori di reciproco interesse. I due ministri sono intervenuti a chiusura dei lavori del Ciir salutandone il contributo alla promozione delle relazioni bilaterali economiche». Così recita la Farnesina, che cita quel momento come forse l’esempio più recente di una cooperazione storica tra i due paesi, e del resto, nell’ottica di oggi, dice, era un’era geologica fa.

Eppure il 6 dicembre gli Stati Uniti sono già in allerta sulle mosse di Mosca alla frontiera con l’Ucraina. Proprio quel giorno, Joe Biden fa partire la videochiamata del “formato quint” verso Mario Draghi, Angela Merkel, Boris Johnson ed Emmanuel Macron: è la vigilia di un momento decisivo, perché per il 7 dicembre è in agenda il colloquio telefonico Biden-Putin. Con gli alleati, il presidente Usa condivide la «preoccupazione per il rafforzamento militare russo ai confini dell’Ucraina». Nelle ore in cui dalla Farnesina si «promuovono» le relazioni economiche, la Casa Bianca condivide coi governi alleati i moniti a Mosca e già ventila espressamente sanzioni e danni per gli affari.

Draghi preferisce dialogare

Il 15 dicembre Draghi in parlamento si esprime così, sull’ipotesi di un intervento militare di Putin in Ucraina: «Questo non è il comportamento di chi è pronto all’azione, ma di chi vuole esplorare tutte le possibilità diplomatiche per trovare una soluzione equilibrata». Sottostima i rischi di conflitto alla luce del fatto che «è stato Putin a cercare Biden per un colloquio telefonico». Nella conferenza stampa prenatalizia, il 22, il premier stronca le possibilità di reazione a Mosca da parte dell’Europa. «Qual è il fattore di deterrenza di cui dispone l’Ue? Abbiamo forse missili, navi, cannoni, eserciti? Al momento no. C’è una Nato che ha rivelato priorità strategiche diverse. Come europei abbiamo al massimo qualche fattore di deterrenza di tipo economico, ma se vogliamo prevedere sanzioni che contemplino anche il gas, siamo davvero capaci di farlo, siamo forti abbastanza, è il momento giusto? Chiaramente no». Niente moniti, ma anzi dialogo, dice Draghi: l’Ue deve mantenere «uno stato di ingaggio» con Putin.

Quali sanzioni?

Joe Biden torna con insistenza sul tema delle sanzioni, sventolate come monito fino a dichiarare martedì che in caso di aggressione saranno rivolte «a Putin in persona». Ma tra gli europei, al di là degli annunci, sul tema non c’è sintonia. I governi hanno dato mandato all’alto rappresentante e alla Commissione di istruire i lavori, tutti sottoscrivono che «in caso di aggressione ci siano misure restrittive», quindi sanzioni individuali e per settore. Ma intanto, mentre il Consiglio Ue parla di «accelerare i preparativi», Berlino si assicura di non avere danni sul fronte del gas, e per Roma la questione non è neppure sul tavolo, non è ora che se ne discute, dunque non c’è una posizione nel merito.

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