Nella narrazione razziale di Trump, i fenomeni di degrado nelle città californiane vanno associati a un’alterità determinata dalla loro natura multilinguistica e multietnica. Riportare l’ordine a Los Angeles vuol quindi dire “ripulirla” da questa inquinante diversità, validando l’immaginario distopico che molta America non urbana ha di grandi metropoli come L.A..
Quello con la California e la città di Los Angeles era, in fondo, lo scontro politico e istituzionale che Donald Trump voleva e cercava. Le espulsioni e gli arresti arbitrari, i raid degli uomini mascherati e spesso senza identificativo nominale dell’Ice, l’agenzia responsabile del dipartimento della Homeland Security, a questo miravano: a intimidire una parte della popolazione; a farne indignare un’altra, provocando proteste e resistenze. Soprattutto in stati e municipalità governati dai democratici.
Soggetti da piegare, questi, che il disegno autoritario di accentramento di poteri nelle mani della presidenza passa anche attraverso l’alterazione degli equilibri fondamentali del compromesso federale.
La realtà
Quello a cui stiamo assistendo è uno scontro in cui è Trump ad avere per il momento il coltello dalla parte del manico. Le proteste iniziali a Los Angeles potevano essere facilmente gestite dalla polizia locale: i disordini che ne erano conseguiti avevano causato meno danni e disagi di quelli che fisiologicamente avvengono durante le celebrazioni cittadine per un qualche successo sportivo. E d’altronde, in termini comparati la California o la città di Los Angeles, dove i latinos sono circa metà della popolazione complessiva, non si distinguono per livelli elevati di criminalità o di violenza.
Il tasso di omicidi in California (il 5,9 per 100mila abitanti) è meno di un terzo di quello di stati repubblicani come l’Alabama o il Mississippi (e circa il 25 per cento in meno a quelli di Texas o Florida). Los Angeles rimane molto più sicura rispetto a tante altre città, grandi e piccole, da Detroit a Memphis, da Baltimora a St. Louis.
L’immaginario
Di California e Los Angeles però si tratta. D’immaginari, diffusi e consolidati soprattutto tra l’elettorato conservatore, più che di realtà. Immaginari apocalittici di zone fuori controllo, invase da altri stranieri che, come disse qualche mese fa Trump, «avvelenano il sangue dell’America».
È questa la prima dimensione da sottolineare. Come tante altre aree metropolitane, anche quelle della California – San Francisco e Los Angeles su tutte – hanno i loro bei problemi di degrado, acuiti da politiche tolleranti verso i senzatetto, emergenza abitativa, altissimo costo della vita, gli effetti del Covid e, anche, un clima mite e accogliente.
Nella narrazione razziale di Trump, quel degrado viene però primariamente associato a un’alterità californiana determinata dalla sua natura multilinguistica e multietnica (le prime esperienze politiche del principale consigliere di Trump sui temi dell’immigrazione, il quarantenne Stephen Miller, furono delle campagne contro l’uso dello spagnolo nella sua scuola superiore a Santa Monica, pochi chilometri a ovest di Los Angeles).
Riportare l’ordine a Los Angeles vuol quindi dire “ripulirla” da questa inquinante diversità, validando l’immaginario distopico che molta America non urbana ha di grandi metropoli come L.A..
Un diversivo
Farlo attraverso un messaggio di legge, ordine e disciplina conferisce a sua volta un altro elemento di forza al presidente. Perché di messaggio ancor oggi popolare si tratta. E perché permette di fare leva su istituzioni – forze armate e apparati di polizia – che meno hanno sofferto negli ultimi anni del generale calo di fiducia che ha colpito invece molte altre, quelle politiche su tutte.
Nella contrapposizione tra manifestanti che sventolano bandiere messicane e patriottici marines, sappiamo già, insomma, a chi va il sostegno di una chiara maggioranza della popolazione. A maggior ragione su un tema, il combinato disposto d’immigrazione illegale e insicurezza urbana, rispetto al quale la linea decisionista e draconiana di Trump continua a piacere.
E anche a questo serve la crisi di Los Angeles: come diversivo, che distrae da altri dossier – l’incoerente politica dei dazi che fa aumentare i prezzi, la legge di bilancio che taglia la popolare sanità pubblica – sui quali Trump è invece particolarmente vulnerabile.
Il rischio che vi sia un’escalation violenta è però elevatissimo. Se ciò dovesse avvenire, il presidente invocherebbe ulteriori poteri emergenziali, acuendo una crisi costituzionale vieppiù palese e accelerando una svolta autoritaria ormai nemmeno più dissimulata.
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