«Come segretario generale dell’Onu, sono venuto a Mosca come messaggero di pace». L’esordio di Antonio Guterres, nella conferenza stampa a fianco al ministro degli Esteri Sergej Lavrov, segna anche il perimetro della sua solitudine: quella per la pace è una missione sempre più solitaria, e quelle multilaterali sono istituzioni sempre più infragilite. Così Guterres, dopo aver invocato, inascoltato, un cessate il fuoco, perora lo stesso concetto al Cremlino, che lo usa come foglia di fico. «La Russia non rifiuta i negoziati con l’Ucraina e spera di raggiungere accordi diplomatici», sostiene Putin nell’incontro con Guterres. Il presidente russo continua a sostenere che «la Russia doveva fermare un genocidio» e aggiunge: «Nessun accordo è possibile senza Crimea e Donbass».

Strumentalizzata dalla Russia, l’iniziativa di Guterres è inoltre disconosciuta in partenza da Kiev: «Non capiamo l’intenzione di Guterres, non è autorizzato a parlare a nome dell’Ucraina», ha chiarito domenica lo staff del presidente ucraino. «L’Onu si concentri sull’assistenza umanitaria». Il segretario a ogni modo giovedì andrà anche nella capitale ucraina a incontrare Volodymyr Zelensky. Invoca un gruppo di contatto «che metta insieme Russia, Ucraina, Nazioni unite, per corridoi umanitari sicuri, per garantire che siano effettivi». Non si fa troppe illusioni, ma tenta. «Prima si raggiunge la pace, meglio è per il mondo. Ma è difficile tener vivo il valore del multilateralismo», come lui stesso riconosce. Finora i suoi appelli per una tregua hanno trovato il supporto più sonoro non nei capi di governo, ma in papa Francesco.

La finzione di Mosca

Mentre gli Stati Uniti compattano il fronte occidentale, e il supporto militare a Kiev, dalla loro base militare in Germania, il Cremlino ha un palcoscenico dove esibire la sua realtà-finzione: «Vogliamo evitare le sofferenze dei civili, nessuno vuole guerre, dio ce ne scampi! Ma se si rifornisce l’Ucraina di armi è difficile che il negoziato trovi esiti», dice Lavrov.

La giornata è cruciale: dopo aver chiarito di voler «fiaccare la Russia», e aver fatto pressione sugli alleati, la Casa Bianca a Ramstein allinea il fronte, compresa Berlino che era più reticente, per una fase più dura di guerra. Lo scontro si inasprisce nel corso delle ore: il governo britannico dice che la Gran Bretagna sostiene attacchi ucraini in territorio russo, «e non è un problema» se lo fa con armi arrivate dagli alleati; la Russia risponde che a quel punto «la risposta sarà proporzionata». Intanto in Polonia, uno dei paesi Ue più esposti, sia per contiguità geografica con l’Ucraina che per durezza verso Mosca, arriva la notizia del taglio di forniture di gas da parte della Russia.

In questo contesto, la conferenza stampa con Guterres rappresenta per Lavrov non un momento di costruzione della pace, ma per fingere di rimpiangerla. «Siamo interessati a difendere i civili», sostiene il ministro degli Esteri russo. «Ogni giorno apriamo corridoi umanitari, ma sono ignorati invece dal battaglione Azov che sfoggia svastiche». Tutta la costruzione retorica punta a scaricare su Kiev – e sull’occidente che la arma – la responsabilità del fallimento della pace. «I negoziati? Abbiamo inviato le nostre proposte a Kiev, ma nulla di fatto. I negoziatori ucraini preferiscono fare proposte teatrali, come un round a Mariupol nelle acciaierie: gli ucraini amano fare spettacolo».

Il ruolo dell’Onu

Come mai Guterres è al Cremlino a tentare vie di pace dopo ormai due mesi dall’inizio dell’aggressione russa? «Con il consiglio di sicurezza e con il potere di veto, Guterres di fatto ha in mano solo le leve che gli stati più potenti gli concedono», dice Lisa Clark. L’International Peace Bureau, di cui è copresidente, ha vinto il Nobel per la pace nel 1910. «La nostra associazione è nata a fine Ottocento, quando gli intellettuali si riunivano in assemblee per la pace: iniziavano a vedere i prodromi della Prima guerra mondiale e peroravano strumenti giuridici per impedire agli stati di farsi la guerra. Il Peace Bureau ha favorito la nascita della Società delle nazioni prima, e delle Nazioni unite poi».

Clark ha scritto a Guterres il 23 marzo, per perorare una presenza in Russia e Ucraina, chiedere «un cessate il fuoco e aprire le porte alla soluzione pacifica del conflitto». Non ha ricevuto risposta, ma il segretario ora è sul posto. Le aspettative sulla riuscita del suo intervento sono fragili, come è sempre più debole il ruolo dell’Onu. «Mi rammarica dirlo, ma da questa crisi viene fuori che un po’ tutti, non solo i governi, anche la società civile, si sono dimenticati dell’Onu». Il multilateralismo, citato da molti leader, è praticato da pochi, da anni.

«Dopo la caduta del muro di Berlino, c’è stata grande speranza in un processo di riforma dell’Onu, e come società civile ci siamo battuti per eliminare il potere di veto. Ma invano. Altro colpo terribile è stata la guerra in Bosnia: dopo anni di missioni delle Nazioni unite, la fine del conflitto è stata decretata dai bombardamenti Nato, e quello è stato un colpo terribile per il prestigio dell’Onu», ricorda Clark. Questo martedì Guterres ha completato il quadro di questa graduale marginalizzazione dell’organizzazione multilaterale, condividendo pubblicamente «un rimpianto: che le Nazioni unite non siano state comprese nel formato che ha fatto seguito agli accordi di Minsk».

La speranza fragile

Guterres denuncia anche l’uso smodato del potere di veto, «non mi faccio illusione di poter cambiarlo, ne peroro un uso moderato». Dopo aver parlato con Putin, continua a «sostenere il dialogo, ma il nostro compito principale riguarda la situazione umanitaria». Offre il ruolo Onu di garante per l’evacuazione da Mariupol. Il presidente russo dice che lì i combattimenti sono finiti e pure che «Mosca non ha a che fare con gli eventi di Bucha, è una provocazione messa in scena». L’accademico Daniele Archibugi, autore di Delitto e castigo nella società globale, constata che «l’Onu ne esce a pezzi: non è stata capace di fermare la guerra, e l’intervento è tardivo. Doveva essere il centro di mediazione diplomatica. Ma se non lo è stata, è perché alla base non c’era la volontà politica degli stati».

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