In un Afghanistan sempre più nel caos provocato dagli attentati, instabile e in preda a lotte intestine tra i Talebani, che cercano di tenere a bada le cellule terroristiche dello Stato islamico Khorosan che hanno rivendicato l’attentato suicida all’aeroporto di Kabul, e i “signori della guerra” fuggiti all’estero o asseragliati nel Panjshir, la Valle dei cinque leoni, ha ancora senso parlare di governo inclusivo o di coalizione a Kabul? O siamo di fronte a uno stato sull’orlo dell’ennesima guerra civile con un governo in mano ai vincitori militari che non aspettano altro che far piazza pulita di ogni resistenza non appena l’ultimo soldato occidentale avrà lasciato il paese? Tra Talebani, con prospettive più domestiche, e l’Isis Khorosan con mire internazionali da “multinazionale del terrore”, c’è un’antica rivalità tra formazioni fondamentaliste per il controllo del paese.

Il consiglio

I leader Talebani, preoccupati di dover gestire un paese sull’orlo di una crisi umanitaria, con la scarsità di farina e generi di prima necessità nella capitale, e senza più fondi internazionali né riserve delle banca centrale a disposizione perché congelate all’estero, fanno filtrare sui media internazionali che formeranno un consiglio composto da dodici uomini per governare l’Afghanistan e offriranno ad alcuni membri dell’ex governo sostenuto dagli Stati Uniti dei ministeri mentre si sforzano di formare un’amministrazione accettabile per la comunità internazionale soprattutto per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani .

Operazione di cosmesi? Ma soprattutto, operazione accettabile dalle cancellerie? E se sì fino a che punto? Un dettaglio appare rilevatore di questo doppio binario dei Talebani. Sotto il nuovo regime talebano la musica sarà proibita in pubblico. Ad annunciarlo è stato il portavoce, Zabihullah Mujahid, in una intervista al New York Times. «La musica è proibita nell’islam, ma speriamo che riusciremo a persuadere la gente a rinunciare, senza dover esercitare pressioni», ha detto il portavoce affermando una palese falsità.

Il divieto, frutto di una loro interpretazione feudale e letterale della sharia, è analogo a quello in vigore tra il 1996 e il 2001, negli anni in cui i Talebani controllavano il paese. Secondo Newsweek, Mujahid è candidato alla carica di ministro dell’Informazione e della cultura nel nuovo governo. Non proprio un biglietto da visita rassicurante per tutti quelli che negli ultimi 20 anni a Kabul hanno ascoltato musica senza limitazioni e che teoricamente potranno continuare a sentirla via internet a condizione di non farlo in pubblico. La musica, ovviamente, è solo un dettaglio ma rivelatore di un atteggiamento fondamentalista che non è cambiato dal 1996.

Uomini forti

I tre uomini più potenti nel consiglio direttivo dovrebbero essere il mullah Abdul Ghani Baradar, cofondatore dei Talebani, l’anima dialogante; il mullah Mohammad Yaqoob, figlio del fondatore del gruppo, il mullah Omar e rappresentante dell’ala militare; e Khalil Haqqani, figura di spicco della rete Haqqani, responsabile di alcuni dei più feroci attacchi terroristici degli ultimi 20 anni, e che è nella lista nera delle Nazioni Unite e degli Stati Uniti. «Insieme – scrive la profonda conoscitrice del paese Lynne O’Donnell, su Foreign Policy –, questi uomini rappresentano uno dei più grandi cartelli criminali e terroristici del mondo. I talebani guadagnano miliardi di dollari ogni anno producendo e trafficando eroina e metanfetamina, oltre al contrabbando di risorse minerarie tra cui marmo, litio e pietre preziose».

Il governo di coalizione

I governi di coalizione in Afghanistan storicamente non hanno mai funzionato. Inoltre con la vittoria militare ottenuta in quattro mesi perché i Talebani, gli studenti coranici formati nella madrasse (le scuole coraniche) di Peshawar in Pakistan, padrino del movimento fondamentalista e anti occidentale, dovrebbero accettare di limitare il loro potere e dividerlo con i “collaborazionisti” occidentali a Kabul?

Perché potrebbero essere messi in difficoltà da una resistenza silenziosa di una popolazione che per 20 anni ha potuto godere di libertà civili occidentali, per evitare l’esodo di massa della classe media formata da medici, ingegneri e professionisti, perché con il nuovo governatore della Banca centrale che non vuole che si applichino gli interessi nel sistema bancario potrebbe andare in fallimento il fragile sistema finanziario cresciuto negli ultimi 20 anni a imitazione di quello occidentale e con esso i prestiti alle imprese e alle famiglie con un’inflazione senza controllo che colpirebbe le fasce di popolazione più povere.

Le file ai bancomat

Nelle ore precedenti all’arrivo dei Talebani a Kabul, nella capitale c’erano file di risparmiatori davanti ai bancomat che ritiravano i loro soldi. Non erano immagini da paese con risparmi sotto il classico materasso, ma filmati simili a quelli di un qualsiasi paese occidentale di fronte a una crisi con i risparmi convogliati nei depositi bancari.

In questo quadro convulso e contraddittorio oscillante tra il ritorno al fondamentalismo teocratico e il rispetto formale di alcune libertà occidentali sui diritti umani e delle minoranze, i Talebani riusciranno a formare un governo inclusivo che eviti di ricreare posizioni come quella di presidente, o anche quella di emiro, titolo rivendicato dai precedenti leader dell’insurrezione talebana, incluso il mullah Omar sfuggito rocambolescamente in moto alla caccia dei marines?

I Talebani vogliono costituire un emirato, sistema di governo simile a una monarchia assoluta, ma senza emiro e senza divisione dei poteri tra legislativo, esecutivo e giudiziario. Un sistema feudale più arretrato e diverso da quello iraniano, che, almeno sulla carta, resta una Repubblica con elezioni, parlamento e presidente e una guida suprema religiosa come ultimo titolare del potere.

Ma una strategia che passi da un potere di tipo collegiale, per certi versi tribale, apre la porta alle lotte tra le varie fazioni che potrebbe alimentare il caos nel paese. I Talebani hanno preso il controllo dell’Afghanistan il 15 agosto, dopo un’avanzata militare attraverso il paese che li ha portati a Kabul in soli quattro mesi, spesso senza sparare un solo colpo.

Il governo dell’ex presidente Ashraf Ghani si è dileguato durante la notte di Ferragosto. La vittoria dei Talebani è la conseguenza della decisione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden di confermare l’accordo preso dal suo predecessore, Donald Trump, che impegnava gli Stati Uniti a ritirare le truppe entro il 1° maggio. Biden ha solo prorogato la scadenza al 31 agosto, ma senza troppo preoccuparsi di coordinarsi con i paesi della Nato presenti nell’area e della gestione sul campo dell’evacuazione degli occidentali e degli alleati afghani. Non proprio un dettaglio.

Una volta capito che gli americani si sarebbero ritirati dopo venti anni e duemila miliardi di dollari di spese prese a prestito sui mercati internazionali, i Talebani hanno avuto facile accesso alle varie province che sono cadute senza opporre resistenza. Ma ora i Talebani temono di essere presi nella tenaglia formata da una parte dai terroristi dell’Isis Khorasan e dall’altra dalla resistenza dei “signori della guerra” ribelli. Per questo sono iniziati colloqui segreti con un consiglio di coordinamento, istituito dall’ex presidente Hamid Karzai, Abdullah Abdullah, ex ministro degli Esteri del precedente esecutivo, e Gulbuddin Hekmatyar, un ex signore della guerra vicino ai Talebani e al Pakistan.

Per ottenere un possibile riconoscimento internazionale (e i relativi aiuti finanziari) i Talebani dovrebbero garantire che non effettueranno ritorsioni contro i sostenitori del governo precedente o contro i sostenitori dei diritti costituzionalmente garantiti, tra cui l’uguaglianza delle donne, la libertà di parola e il rispetto dei diritti umani. Ne saranno capaci? Saranno in grado di gestire le diverse anime degli stessi Talebani?

Inoltre per ora le loro azioni sul terreno vanno in un’altra direzione rispetto alle rassicurazioni verbali. Talebani armati vanno porta a porta alla ricerca di persone sospettate di “collaborazionismo” con gli occidentali. Sono filtrate notizie secondo cui parenti di giornalisti che hanno lavorato per un canale internazionale sono stati feriti, tra cui uno a morte.

Sembra la riedizione di storie già viste nel 1996 con l’unica differenza che nel 2021 gli “studenti coranici” hanno in mano liste aggiornate di “collaborazionisti” occidentali. I primi report che giungono da province come Herat (un tempo sede della missione italiana), parlano di caccia ai miliziani anti Talebani costretti a nascondersi nelle cantine delle abitazioni già visitate dai miliziani.

A Kabul, le ambasciate di Russia (la posizione secondo la Tass si è fatta molto più cauta nelle ultime ore e Mosca sembra intenzionata a evacuare il personale diplomatico), Cina, Iran e Pakistan rimangono aperte, un’indicazione di quale sostegno possono aspettarsi i Talebani mentre cercano il riconoscimento internazionale. I sauditi hanno chiuso l’ambasciata a Kabul e sono silenti in modo anomalo.

Ahmad Massoud

Fonti vicine a Baradar e Yaqoob sostengono che questi vorrebbero includere nel consiglio di governo Ahmad Massoud, figlio del comandante anti talebano Ahmad Shah Massoud, ucciso da al Qaeda due giorni prima degli attacchi dell’11 settembre agli Stati Uniti. Ipotesi molto improbabile visto che Massoud ha formato un movimento di resistenza nella valle del Panjshir, e non sembra intenzionato a cedere alle lusinghe dei Talebani. La provincia è rimasta fuori dal controllo del regime talebano nel 1996-2001 e dal controllo dei sovietici durante la loro occupazione.

La valle del Panjshir significa che la resistenza ai Talebani è già iniziata, e questo potrebbe sfociare in una guerra civile nei prossimi mesi, un fronte domestico che potrebbe far esplodere le tensioni all’interno dello stesso movimento dei Talebani dove la storica dirigenza del sud, dominata dai pashtun, ha dovuto lasciare spazio a nuove leve con molti leader uzbeki e tagiki. Senza dimenticare che la rete Haqqani ha assunto un ruolo di primo piano nella conquista di Kabul.

Il gruppo Haqqani ha il controllo della sicurezza ed è il nucleo della forza a Kabul, ed è per questo che alcuni osservatori occidentali, dopo l’attentato dell’Isis Khorosan all’aeroporto di Kabul, non hanno escluso complicità di alcuni Talebani dissidenti con la linea dialogante dei loro vertici politici che fanno capo al mullah Baradar, l’uomo dell’accordo di Doha con gli Stati Uniti.

I signori della guerra

I Talebani inoltre dovranno vedersela con i signori della guerra del nord tra cui il leader uzbeko Abdul Rashid Dostum e Atta Mohammad Noor, che sono riusciti a fuggire oltre confine ma che possono contare su milizie personali ai loro ordini. Anche il signore della guerra di Herat, Ismail Khan è fuggito in Iran mentre Amrollah Saleh si è unito ad Ahmad Massoud.

Cosa potrebbe chiedere la comunità internazionale ai Talebani in cambio di un riconoscimento diplomatico? Di tenere elezioni, rispettare i diritti umani, i diritti delle donne e la libertà di parola? Molto improbabile che i Talebani possano accettare queste richieste.

I legami con il Pakistan

Sarah Chayes, ex giornalista della radio pubblica americana Npr ed ex consulente speciale nel 2010 del chairman of the Joint Chiefs of Staff, ammiraglio Mike Mullen in Afghanistan, dove ha vissuto otto anni e ha imparato una delle lingue locali, il pashtu, ha contestato che i Talebani siano emersi per la prima volta nei primi anni Novanta, a Kandahar, in Afghanistan. Sembra un punto poco significativo e invece nasconde qualcosa di più di un dettaglio storico.

Chayes ha scritto degli stretti legami tra servizi segreti pachistani (Isi) e Talebani sul Boston Globe. In particolare sul suo blog Chayes ha recentemente rivelato che i legami erano molto più profondi di quanto si pensasse informalmente nei circoli di Washington: «I Talebani erano un progetto strategico dell’agenzia di intelligence militare pakistana, l’Isi. L’Isi ha condotto indagini di mercato nei villaggi intorno a Kandahar, per testare l’etichetta e il messaggio. I “Talebani” ha funzionato bene. L’immagine evocata era quella dei giovani studenti che facevano l’apprendistato presso i capi religiosi del villaggio. Erano conosciuti come sobri, studiosi e gentili. Questi Talebani, secondo il messaggio dell’Isi, non avevano alcun interesse per il governo. Sia l’etichetta che il messaggio erano delle bugie».

I Talebani dunque sarebbero il frutto di un’operazione di marketing strategico deciso a Islamabad da parte dell’intelligence pachistana per avere influenza diretta sul governo del paese confinante.

Successivamente all’intervento americano nel 2001 che ha spazzato via i Talebani da Kabul i servizi pachistani non sono rimasti fermi.

«Dal 2002 – scrive sempre Chayes – l’Isi stava riconfigurando i Talebani: aiutandoli a riorganizzarsi, addestrando ed equipaggiando unità, sviluppando strategie militari, salvando agenti chiave quando il personale americano li identificava e li prendeva di mira». Questo legame con alcuni uffici dei servizi segreti del Pakistan non depone a favore di un possibile e duraturo governo inclusivo formato dagli stessi Talebani. Il rischio è come vent’anni fa al Qaeda, l’Afghanistan con la sua instabilità cronica possa tornare a diventare un santuario del terrorismo islamista.

Qatar contro Pakistan

Mentre i Talebani iniziano il loro secondo momento alla guida dell’Afghanistan, le speranze di evitare una ripresa del loro primo periodo di governo fondamentalista può poggiare su una competizione per l’influenza a Kabul tra Pakistan e Qatar. «Il risultato – hanno scritto Bobby Ghosh e Hussein Ibiseh su Bloomberg opinion – determinerà quale ruolo il resto del mondo, e in particolare l’occidente, può svolgere nel paese dopo il ritiro delle forze americane».

Possibile? La maggior parte degli afghani, così come molte agenzie di aiuti, i donatori e gli investitori, dovrebbero sostenere Doha piuttosto che Islamabad. I ricordi di come la precedente amministrazione talebana si è comportata sotto la tutela del Pakistan non lasciano spazio all’ottimismo su come andranno le cose questa volta. «I qatarini sono una realtà relativamente sconosciuta nell’Asia meridionale, ma difficilmente potrebbero fare di peggio», dicono i due analisti.

Chi vincerà dunque tra Qatar e Pakistan? E la Turchia sosterrà il Qatar? Il finale sarà determinato in gran parte da un’altra gara, questa volta giocata all’interno dei Talebani stessi. Sebbene il gruppo sia guidato da un leader supremo, Habitullah Akhundzada, i Talebani non sono un blocco monolitico. Semplificando il Qatar è allineato con la fazione politica guidata dal mullah Abdul Ghani Baradar, mentre il Pakistan sostiene l’ala militare, composta da personaggi come Mohammad Yaqoob, il figlio del mullah Omar, e da Sirajuddin Haqqani, capo del temuto Haqqani Network, designato gruppo terroristico dagli Usa.

Baradar ha vissuto a Doha per tre anni e recentemente ha incontrato in colloqui segreti il capo della Cia Williams Burns. Se dovesse vincere all’interno del consiglio dei 12, l’organo di governo dell’emirato afghano, l’influenza del Qatar sarebbe maggiore. Se invece nel consiglio dovessero prevalere l’area militare di Yaqoob e quella della rete di Haqqani allora sarebbe il Pakistan a prevalere. Senza dimenticare che per Islamabad, paese confinante con Kabul, continuare ad avere influenza decisiva in Afghanistan è una questione vitale nella storica rivalità con la vicina India.

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