Al-Hajajreh: «Il piano Trump? Vogliono una Palestina fatta di burattini»

Da quando ha fondato l’organizzazione di donne palestinesi Women of the Sun nel 2021, Reem Al-Hajajreh si batte per la resistenza pacifica all’occupazione israeliana in Palestina e per il dialogo tra i due popoli. Insieme all’Ong israeliana Women Wage Peace, con cui lavora da tempo, il suo gruppo è stato nominato tra i candidati al premio Nobel per la Pace nel 2024. Al-Hajajreh parla con Domani dopo la masterclass “Seminare la pace”, nell’ambito del festival Alice nella città, che si sta svolgendo nella capitale parallelamente alla festa del Cinema di Roma. Il festival l’ha premiata domenica con il Womenlands Excellence Award. Riaprono forni e ospedali, la normalità perduta di Gaza: «È strano prendere la farina senza rischiare un proiettile» Che ne pensa del piano di Trump? Non si vuole che facciamo resistenza armata e neanche pacifica. Si vuole riconoscere la Palestina secondo una serie di condizioni come se fossimo dei burattini. Non c’è stato un leader che abbia chiesto al suo popolo, non solo ai palestinesi: «Cosa vuoi?». Come rappresentante delle donne palestinesi, dovrei essere ascoltata. Invece, non ho mai incontrato il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Mahmoud Abbas, in questi 23 anni in cui è al potere. Come popoli, siamo esclusi, si gioca con noi come se fossimo delle pedine degli scacchi. Abbas è stato descritto spesso come corrotto, distante dal popolo e collaboratore degli israeliani. Che critiche si sente di fare alla leadership palestinese? Il popolo palestinese non è contento dell'Anp per i motivi che ha menzionato. Alcune accuse sono vere, altre forse meno forti. L’autorità ha bisogno di molti interventi che la portino a lavorare a favore degli interessi del popolo palestinese, più di quanto faccia ora. Affrontare la corruzione è molto importante, perché solo così la gente può credere di avere un vero governo. Se Abbas vuole la pace, deve essere più fermo nel rivendicare una pace giusta. Come si lavora sulla resistenza pacifica? A due livelli: il primo è tra palestinesi, il secondo tra palestinesi e israeliani. Il primo è molto più complesso. Avrei potuto lasciare che mio figlio vendicasse i suoi amici che sono stati martirizzati e lui poteva diventare un martire o un prigioniero. Ma oggi mio figlio crede nella resistenza pacifica, perché l'ho cresciuto io. Per questo, lavoro con le madri e coinvolgo i giovani in attività sociali. Gli dico: non fate sì che la questa terra beva il vostro sangue, non morite. Con le donne israeliane avevamo progetti comuni, ma ci hanno tagliato i fondi. Nel 2025, ci siamo incontrate all'estero e cerchiamo di lavorare su un’idea comune: la voce delle madri palestinesi e israeliane che chiedono la fine dello spargimento di sangue. Raji Sourani: «A Gaza ora serve tutto. Ma prima di tutto serve giustizia» Che appoggio ha da parte degli uomini palestinesi nella sua attività? All’inizio, il lavoro che volevo svolgere non era accettato, soprattutto da parte della mia famiglia. Ma ho sfidato tutti. Ho perso molte persone vicine a me, ma alla fine sono riuscita a convincerle che il mio punto di vista è quello giusto. Mio padre era molto severo quando gli ho parlato del lavoro che volevo fare, ma ora è fiero di me. Ha avuto problemi con i movimenti palestinesi che spingono per la resistenza armata? Certo. Sono accusata di essere una “normalizzatrice”, ma quando li affronto so che loro hanno i paraocchi. Io rappresento la realtà che sta in mezzo. Non vogliamo eliminare gli ebrei e non vogliamo essere eliminati da loro. Abbiamo bisogno di convivere. Non vogliamo che ci vogliano bene o volergli bene noi. Vogliamo diminuire il dolore quotidiano al quale siamo soggetti. La convivenza è più realistica sotto un unico Stato o due Stati? Non nascondo che vorrei avere uno Stato palestinese indipendente. Ma oggi è importante che le leadership israeliane e palestinesi tornino al tavolo delle trattative e scelgano la soluzione che trovano più adatta. Ciò che conta è fermare lo spargimento di sangue. Un diplomatico per Gaza: tutte le carte di Meloni per fare affari nella Striscia Nella leadership palestinese deve essere inclusa anche Hamas in questa ripresa di trattative? Hamas rimane parte del popolo palestinese. Non viene dal nulla. È importante che ci sia un'unità nazionale palestinese. Quando si riconosce la legittimità di un popolo intero, devi riconoscerne tutte le componenti, anche se questo non piace. Ma bisogna rispettare le scelte dei palestinesi. Si possono trovare dei compromessi. La prova di questo è che Hamas si è seduto al tavolo delle trattative oggi. Io non sono con nessuna formazione politica, ma credo di avere il diritto di avere un vero Stato. Lei lavora per il futuro dei giovani, sarà possibile superare tutto l'odio e il dolore seminati sui due fronti di questo conflitto? A volte spero che moriremo tutti. Come farà il popolo palestinese a dimenticare quello che è successo? Come posso convincere un bambino che ha perso braccia e gambe che la vita è bella? Il dolore non si dimentica ma possiamo imparare a conviverci. Vale anche per gli israeliani. Il dolore è dolore per tutti.